Diritto alla felicità (in azienda)
Molte organizzazioni ora prevedono l'istituzione del Chief Happiness Officer nel loro organico
Cosa non si fa per rendere ancora più gradevole la permanenza in azienda? Se questo valeva molto prima del COVID-19 forse lo sarà ancor di più a mano a mano che le persone ritorneranno in azienda. L'ultima trovata, in ordine di tempo, è certamente quella del Chief Happiness Officer, figura emergente che molte organizzazioni aziendali iniziano a prevedere nel loro organico.
Di questo nuovo profilo, delle sue competenze e, soprattutto, strumenti e ruolo che deve ricoprire si occupa il nuovo lavoro di Veruscka Gennari e Daniela Di Ciaccio, dal titolo "Chief Happiness Officer. Il futuro è delle organizzazioni positive", edito da Franco Angeli.
Curiosamente ho letto il testo a cavallo delle celebrazioni del 4 luglio, anniversario della fondazione degli Stati Uniti nella cui costituzione trova affermazione il principio del diritto alla felicità di ogni individuo.
Curioso ora che questo principio trovi albergo anche nell'impresa, luogo nel quale più d'altri è difficile coniugare aspettative, principi e progetti dei singoli.
Nel testo le due autrici forniscono un inquadramento di chi sia il Chief Happiness Officer, le competenze che deve possedere e quali mandati deve adempiere nell'interesse integrato del singolo, della collettività e dell'impresa stessa (e dei suoi azionisti).
Il testo, grazie al contributo e all'esperienza di chi sta già formando CHO in Italia e nel mondo, costituisce un valido supporto tanto per la direzione HR, il CEO, leader e consulenti tutti impegnati, oggi più che mai nel definire insieme una nuova cultura organizzativa che passi sulla sostenibilità e sull'appagamento di chi opera in azienda.
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