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23/04/2014

idee

I millennials in Italia: una generazione alla ricerca del futuro

Carella (Manageritalia): Dobbiamo capire e decidere su quali settori e business ad alto valore aggiunto vogliamo scommettere e di quali competenze abbiamo bisogno. Il ruolo della scuola

Oggi in Italia i giovani sono sulla bocca di tutti, ma chi sono e cosa fanno questi giovani? Dobbiamo prima di tutto intenderci su chi e cosa sono i giovani. L’Istat, e le consuetudini internazionali, parlano di giovani e di disoccupazione giovanile facendo riferimento solo ai 15-24enni. Di fatto però, soprattutto parlando di lavoro, la maggioranza dei giovani in quella fascia d’età dovrebbe essere nell’ultima fase del percorso formativo (scuole superiori e/o università, conciliando magari formazione ed esperienze lavorative). Mentre sono i giovani, o meglio giovani-adulti, della fascia seguente (25-34 anni), quelli definiti generazione Y o Millennials, che dovrebbero essere già solidamente presenti nel mondo del lavoro, mettere le basi di una propria famiglia ecc. Insomma, cominciare a dare il loro pieno contributo al Paese.
Di fatto continuiamo a leggere male i numeri. Infatti, il dato sulla disoccupazione dei 15-24enni diffuso ogni mese dall’Istat (l’ultimo relativo a febbraio 2014 parla di una disoccupazione totale al 13% e di quella dei giovani, i 15-24enni per l’appunto, al 42,3%) non considera per nulla i 25-34enni e ci svia dal problema più grave e drammatico.


Infatti, guardando ai dati del 2013 (ultimi resi disponibili dall’Istat per tutte le fasce d’età) la disoccupazione dei 15-24enni pari al 40% equivale a 655.420 individui, mentre quella dei 25-34enni pari al 17,7% equivale a 928.112 individui. Il dato dell’alta incidenza del fenomeno sui primi non deve quindi portare in secondo piano la portata del problema per i secondi e l’importanza di un’azione più ampia nei confronti delle nuove generazioni.
Di conseguenza, guardando ai dati del 2013 proprio i 25-34enni sono tra i disoccupati in assoluto i più numerosi, 928.112 (con un tasso di disoccupazione 17,7%), seguiti dai 35-44enni (751.951, 9,9%), dai 15-24enni (655.420, 40%) e dai 45-54enni (576.624, 8%).
Insomma, la generazione che si dovrebbe e ci dovrebbe dare un futuro è quella più in crisi e, non a caso l’ingresso nel mercato del lavoro dei giovani in Italia avviene in media 3 anni più tardi rispetto alla media europea.

Il nodo della formazione universitaria

Il vero problema – anche in ottica futura, per avere una forza lavoro formata e competente, come richiesto dalla moderna economia della conoscenza – è che noi abbiamo un tasso di formazione universitaria quasi da terzo mondo.

Infatti, solo il 21,7% dei nostri 30-34enni è in possesso di una laurea, peraltro spesso poco funzionale alle attuali esigenze del mondo del lavoro e anche a livello di formazione universitaria il Mezzogiorno è indietro. Siamo ultimi nell’Europa a 27 (media 35,8%) e ben lontani dai Paesi più virtuosi e nostri principali concorrenti (Regno Unito 47,1%; Francia 43,6%; Germania 31,9%).
E per l’istruzione universitaria siamo scarsi su più fronti. Oltre ad avere pochi giovani laureati, facciamo poco per la loro occupazione. Infatti, il tasso di occupazione dei laureati in età 25-29 italiano è il più basso in assoluto in Europa (anche più basso della Turchia), nello specifico ben 25 punti sotto la media europea (Italia: 54,7%, Eu-27: 79,1%). Un dato impressionante e significativo della nostra incapacità di valorizzazione del capitale umano delle nuove generazioni.
Il vero salto di qualità è cominciare a ragionare di occupazione e economia leggendo i dati giusti e agendo di conseguenza. Nella fascia d’età 15-24 i giovani dovrebbero essere nella stragrande maggioranza nella parte finale del loro percorso formativo scolastico, da combinare certo con esperienze lavorative.


Mentre dopo i 24 anni, sperando che concludano nei tempi gli studi universitari e/o quelli superiori, dovrebbero certamente essere al lavoro e avere un reddito adeguato per sostenere propri percorsi di autonomia. È quindi particolarmente importante guardare anche e soprattutto alla disoccupazione dei 25-34enni, che sono anche numericamente la fascia di disoccupati più cospicua.
A questo punto, leggendo bene i numeri, dobbiamo lavorare per far studiare più a lungo e regolarmente i giovani nella fascia d’età 15-24 anni, mentre dobbiamo trovare un lavoro e dignitoso a tutti, ma ancor più ai giovani tra 25 e 34 anni. E, come noto e sottolineato da varie ricerche a livello mondiale, conoscenze e competenze elevate, oltre a essere un’indubbia crescita personale, sono oggi indispensabili anche per accedere ad un lavoro di qualità, avere un’economia competitiva e contribuire maggiormente a creare occupazione per tutti gli altri.
Quindi, se vogliamo pensare di crescere e restare, meglio ritornare, tra i Paesi più avanzati e benestanti, dobbiamo capire e decidere su quali settori e business ad alto valore aggiunto vogliamo scommettere per il nostro futuro e di quali competenze abbiamo bisogno.


Per fare questo serve anche un dialogo molto più sinergico, efficace, efficiente e costruttivo tra scuola e mondo del lavoro. Solo così possiamo ripartire e dare un futuro ai giovani, a tutti e al Paese.

Guido Carella, presidente Manageritalia


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