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05/11/2014

economia

La ripresa senza ripresa

Burgess (Threadneedle): I mercati sembrano ormai terrorizzati da un possibile shock per la crescita e dalle sue conseguenze sugli utili per il resto dell'anno e per il 2015

Ultimamente, le attività rischiose globali hanno attraversato un periodo difficile; al momento della redazione del presente documento, l'S&P 500 è a un livello inferiore di oltre l'8,5% al massimo storico raggiunto appena un mese fa. Ma cosa perturba i mercati? L'imminente conclusione del quantitative easing (programma di acquisti di obbligazioni) negli Stati Uniti è stata citata tra le cause e i rischi geopolitici (Russia/Ucraina, Stato islamico/Medio Oriente, Hong Kong/Cina), unitamente, più di recente, ai timori per la salute pubblica mondiale (Ebola), non hanno certo contribuito a calmare il nervosismo degli investitori.
La liquidità dei mercati obbligazionari e azionari è ridotta al momento e coloro che temevano che il ridimensionamento post-2008 dei bilanci delle banche d'investimento e dei broker-dealer avrebbe finito prima o poi per creare una carenza di liquidità potrebbero pensare che i nodi stiano venendo al pettine. La liquidità nei mercati dell'alto rendimento è bassa da tempo (ragion per cui abbiamo deciso di ridurre l'esposizione a quest'asset class nei nostri portafogli multi-asset nella parte iniziale del mese).

Nei mercati valutari, l'impennata del dollaro USA nel terzo trimestre avrebbe verosimilmente avuto un impatto negativo su alcune attività rischiose (storicamente, vi è stata una chiara relazione inversa tra il dollaro e i mercati emergenti, ad esempio).  

Fuga verso la sicurezza

 

La nostra visione è che la recente correzione delle azioni e la più generale "fuga verso la sicurezza" abbiano le loro radici nei fondamentali. È un dato di fatto che, nonostante il quantitative easing (QE), tassi d'interesse pressoché a zero da oltre mezzo decennio e il più recente impegno della BCE a fare "tutto quello che sarà necessario" per salvare l'euro, non si vede alcun segno di una vera e propria ripresa al di fuori degli Stati Uniti. Le prospettive di crescita dei mercati emergenti, a lungo locomotiva della crescita globale, si stanno deteriorando e l'Europa sembra di nuovo sull'orlo della recessione, con il rischio aggiuntivo di uno scenario di deflazione, che potrebbe avere ripercussioni estremamente negative alla luce dell'indebitamento pubblico. I mercati sono scettici sulla possibilità che un QE in piena regola (quand'anche fosse attuato) possa fare molto per dare impulso alla crescita economica nell'eurozona.


Il Giappone ha indubbiamente beneficiato della debolezza dello yen, ma la sua ripresa economica (almeno nel breve periodo) dipende in larga misura dalle esportazioni verso il resto del mondo, dove le prospettive di crescita sembrano ormai deteriorarsi.
Il Regno Unito ha beneficiato di una ripresa trainata dal mercato residenziale, ma permangono interrogativi sulla sostenibilità di tale espansione, soprattutto quando la banca centrale comincerà a normalizzare i tassi d'interesse (attualmente i mercati obbligazionari prefigurano un aumento dei tassi d'interesse nel Regno Unito dopo le elezioni politiche del 2015, con un potenziale rialzo dei tassi negli Stati Uniti nel quarto trimestre 2015).
In sintesi, i mercati sembrano ormai terrorizzati da un possibile shock per la crescita e dalle conseguenze di ciò sugli utili per il resto dell'anno e per il 2015. Le imprese hanno fatto poco per alleviare tali timori finora, in quanto la stagione dei risultati del terzo trimestre è iniziata all'insegna dell'incertezza. In termini di valutazioni in generale, non ha ovviamente senso che le quotazioni azionarie rimangano invariate a fronte di un indebolimento della fiducia degli investitori nelle prospettive degli utili.


In altre parole, se si prevede un calo dei profitti, i corsi azionari dovrebbero anch'essi scendere affinché parametri di valutazione quali i multipli P/E possano rimanere stabili.  

Per l’azionario non si escludono ulteriori difficoltà a breve

 

Abbiamo discusso del nostro posizionamento d'investimento, come di consueto, in occasione della nostra riunione settimanale sull'asset allocation e la conclusione è stata che non ha senso acquistare obbligazioni ai livelli attuali. Abbiamo inoltre deciso che non venderemo azioni, ma non incrementeremo nemmeno le posizioni odierne. A nostro giudizio, sarebbe appropriato acquistare titoli di Stato core ai rendimenti attuali solo se si crede che il mondo rimarrà per sempre in una situazione di deflazione. Non è quello che pensiamo e i dati statunitensi recenti (richieste di sussidi di disoccupazione, produzione industriale) sono stati incoraggianti (anche se perlopiù ignorati dai mercati). Le prospettive di crescita per il resto del mondo sono invece meno favorevoli.
Per le azioni, non escludiamo ulteriori difficoltà a breve termine, con l'adeguarsi delle aspettative di utile, ma andrebbe notato che gli investitori che hanno detenuto azioni senza interruzioni negli ultimi tre anni fino alla chiusura delle contrattazioni del 15 ottobre 2014 hanno comunque beneficiato di rendimenti totali in valuta locale di oltre il 60% negli Stati Uniti (S&P 500) e di oltre il 30% nel Regno Unito (FTSE All-Share).


Altri mercati sviluppati hanno anch'essi registrato buone performance. Inoltre, se i mercati dovessero adottare una visione più accomodante sulle prospettive dei tassi a breve, come sembra ormai probabile, le azioni, che sono le attività a lunga duration per eccellenza, dovrebbero beneficiarne.  

Mark Burgess, Chief Investment Officer di Threadneedle Investments


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