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24/12/2014

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Le crisi d'impresa in Italia: lo scenario attuale e le prospettive possibili

In un contesto che presenta lacune strutturali (poco capitale di rischio) e modalità di risoluzione delle crisi spesso inefficaci (come il concordato), occorre che il sistema trovi autonomamente modalità di intervento più tempestive e coordinate

Dopo la riforma Monti, il fare impresa in Italia ha subìto delle variazioni. Se da un lato la nuova legge ha favorito la nascita di nuove realtà, dall'altro con la crisi congiunturale globale, ma ancor più sentita in Italia, si è incrementata la necessità di sopravvivenza e rilancio delle aziende esistenti. Se ne è parlato al convegno "Le crisi d'impresa in Italia", organizzato da Movent Capital Advisors - una boutique indipendente specializzata nell'assistere le medie imprese dinamiche nella ricerca di nuova finanza per lo sviluppo, nella strutturazione e realizzazione di operazioni di Private Equity e nel riposizionamento e ristrutturazione del debito - e da Tonucci & Partners - studio legale internazionale - dove banche e professionisti si sono confrontati sulle crisi aziendali e i processi di risanamento possibili.
Secondo Alberto Daina, managing partner di Movent Capital Advisors, "In Italia esiste una grandissima zona "grigia" di medie imprese che, pur presentando prodotti, conti economici e prospettive potenzialmente interessanti, si trascinano spesso stati patrimoniali sbagliati con indebitamenti ed altre "scorie", figlie di scelte errate fatte in epoche molto diverse da quella attuale.

Il rilancio quindi di queste aziende implicherebbe non solo la ricerca di capitali freschi per lo sviluppo ma spesso la contestuale sistemazione e messa in sicurezza di situazioni debitorie potenzialmente pericolose. Un tale contesto farebbe pensare all'Italia come a una terra di conquista per operatori istituzionali specializzati nelle operazioni di rilancio o" turnaround", ma i dati di mercato mostrano il contrario, come emerge da un recente studio dell'Università Luic-Cattaneo di Castellanza che evidenzia la drastica riduzione sia delle operazioni che degli operatori attivi in Italia.
L'assenza quindi di capitali di rischio ha portato parte delle imprese in difficoltà all'utilizzo spesso indiscriminato del nuovo strumento del cosiddetto "Concordato in bianco" che, in qualche modo, è andato a sostituire gli accordi di ristrutturazione ex-art 182-bis LF, con piani industriali molte volte troppo ottimistici, resi fragili dall'assenza di capitali freschi, nuovo management e scarsa o nulla finanza bancaria di funzionamento e che, nella maggior parte dei casi, sfocia poi in un fallimento.
"Infine -  ha concluso Daina - rimane un problema culturale legato al fatto che spesso l'imprenditore fa fatica a staccarsi dalla gestione diretta dell'azienda e rivolgersi all'esterno anche quando i contesti competitivi e le criticità operative sono diventati molto più complessi da affrontare, e soprattutto quando l'azienda inizia a dare i primi segni di difficoltà.

In un contesto quindi che presenta lacune strutturali (poco capitale di rischio) e modalità di risoluzione delle crisi spesso inefficaci (come il concordato), occorre che il sistema "banca-professionista d'impresa-investitore" trovi autonomamente modalità di intervento più tempestive e coordinate con l'obbiettivo di minimizzare i costi finanziari e sociali dei salvataggi".

Lo stato della legislazione italiana e comunitaria sulla crisi d'impresa è stato tracciato da Alessandro Pellegatta, dirigente Credito Anomalo di Banca Popolare Commercio & Industria (Gruppo UBI), che ha affrontato il tema dei possibili sviluppi per migliorare l'efficienza e l'efficacia dei piani di risanamento, anche alla luce delle indicazioni della Raccomandazione UE sull'armonizzazione delle normative nazionali in tema di credito non performing. Secondo Pellagatta, anche le imprese italiane nei prossimi anni, visto che le banche saranno spinte a disporre di capitali di vigilanza sempre maggiori, onde superare la difficoltà di accesso al credito, dovranno poter utilizzare fonti alternative al credito bancario, quali shadowbanking, mini-bond e attività di turnaround.



"L'Italia, rispetto agli altri Paesi europei, non ha ancora sviluppato l'uso dei fondi di turnaround come strumento di possibile uscita dalla crisi per l'azienda. In UK, Germania e Francia gli operatori di turnaround investono tra i 30 e i 100 milioni di euro l'anno per ristrutturazioni aziendali, in Italia soltanto 3 milioni di euro; questo significa che abbiamo un mercato ancora tutto da sviluppare. C'è un gran bisogno di questi strumenti, che tra l'altro possono essere altamente remunerativi per gli investitori, oltre a fornire una risposta importante al sistema economico italiano", ha aggiunto Anna Gervasoni, direttore generale di AIFI.

Guido Motti, Partner dello Studio Legale Tonucci & Partners, ha chiarito che "a partire dal 12 settembre 2012, e cioè il giorno dopo l'entrata in vigore del c.d. Decreto Monti, abbiamo assistito ad un vero e proprio boom di istanze di concordato con riserva che, al termine di un iter di diversi mesi, hanno raggiunto l'omologazione nel 5% circa dei casi. A ciò si aggiunga che, nel 2013, il carico di istanze di concordato è andato man mano aumentando, di fatto, solo sino a quando gli imprenditori e gli operatori bancari e professionali non si sono avveduti della scarsa percentuale di riuscita (leggasi omologazione), che lo strumento riceveva dai Tribunali destinatari delle istanze medesime.


Infine, il legislatore, accortosi dell'abuso che dello strumento concordatario si faceva, ha introdotto numerosi controlli, facendo sì che la "domanda" di concordato in bianco diminuisse progressivamente, a favore, purtroppo delle istanze di fallimento, spesso anche in proprio. In tale contesto, un delicatissimo problema è costituito dalla sorte dei contratti (in particolare, dei contratti bancari, come le anticipazioni di credito a cui sia apposto un mandato all'incasso a favore della banca) pendenti alla data della presentazione dell'istanza di fallimento o di concordato. Il tema è scottante e di estrema attualità considerata la discorde opinione giurisprudenziale che gli esperti registrano sul territorio nazionale ed è di per sé tale da scoraggiare ulteriormente la banca all'erogazione di credito in un momento come l'attuale già di profondo credit crunch".

Gualtiero Marcobi e Francesco Gallotti, Senior Partner di Movent Capital Advisors, hanno parlato del "lato impresa", quale entità che produce ricchezza e della "solitudine dell'imprenditore" che, nella migliore delle ipotesi, rimanda ad azioni future il recupero di competitività e marginalità dell'impresa.


Gli stakeholder –- istituti di credito, collegi sindacali, revisori dei conti e consulenti –- hanno spesso visioni ex post (bilanci, semestrali) della situazione, analizzano macro numeri economici finanziari e hanno proprie logiche che, spesso, non gli permettono di intervenire in tempo per salvare l'impresa. Ciò comporta una oggettiva mancanza di percezione della immediatezza ed intensità del rischio ed un inefficiente utilizzo delle risorse di sistema, che spesso porta ad una perdita di valore per tutti i soggetti coinvolti.
Da qui, la necessità che gli stakeholder, nell'interesse comune, trovino dei meccanismi operativi per affiancare all'imprenditore un advisor indipendente super partes (scelto dagli stakeholder e remunerato dall'imprenditore), dotato di capacità imprenditoriali e che possa essere punto di riferimento e garante dell'attuazione delle iniziative opportune di supporto dell'azienda in crisi. L'ammissione al concordato deve essere vista come l'ultima via di uscita.  


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