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25/02/2015

economia

Il ritorno delle Abenomics tra luci e ombre

Utermann (allianz GI): Siamo preoccupati non solo per la portata del rapporto tra debito e Pil del 245%, il livello massimo tra le principali nazioni al mondo, ma anche per il deficit del Paese superiore al 6% del PIL dal 2009

Il termine "Abenomics" entrò a far parte del lessico finanziario nel dicembre 2012 per indicare la politica economica del nuovo primo ministro giapponese Shinzo Abe.
Faceva riferimento in particolare alle "tre frecce": maggiori incentivi fiscali, allentamento monetario aggressivo e una serie di riforme strutturali.
A poco più di due anni dall'inizio del suo mandato, Abe ha sciolto il parlamento giapponese e indetto nuove elezioni a sorpresa, apparentemente per ridare legittimità al suo piano di creare inflazione nell'economia del paese. Il piano sembra aver funzionato, la coalizione di governo è stata rieletta con una solida maggioranza il 14 dicembre 2014.
Tuttavia, il mandato di Abe forse non è così definito come sembra. L'affluenza alle elezioni ha registrato un minimo record del 52,66%, mentre il 90% degli elettori ha dichiarato di aver votato per la coalizione di governo solo in mancanza di un'alternativa. Inoltre, un sondaggio di Kyodo News dopo le elezioni ha evidenziato che solamente il 27% degli intervistati reputa che l'Abenomics sarà in grado di dare ossigeno all'economia.


Effettivamente, noi siamo tra coloro che sin dall'inizio erano scettici sul successo del piano di riforme, in particolare per quanto riguarda la terza freccia. Il Giappone deve affrontare una sfida molto difficile sul fronte demografico, più che gli altri paesi. Nei prossimi decenni la popolazione diminuirà di un milione di persone all'anno e nel 2060 potrebbe raggiungere gli 87 milioni: il 40% sarà oltre i 65 anni. La sfida è complicata dal fatto che l'immigrazione netta in Giappone praticamente è stata pari a zero negli ultimi dieci anni. La percentuale di residenti non giapponesi è estremamente bassa, inferiore al 2% della popolazione complessiva e il numero dei naturalizzati è pari a 9.000 ed è in calo, una cifra irrisoria per un paese popoloso come il Giappone. Dubitiamo che l'aumento della partecipazione delle donne alla forza lavoro o l'allungamento della vita lavorativa rappresentino soluzioni sostenibili, né che l'aumento dei salari possa essere sostenuto dall'incremento della produttività.
L'impatto principale dell'Abenomics ha riguardato lo yen che, come evidenziato nel grafico, si è svalutato molto rispetto al dollaro negli ultimi tre anni e continua la tendenza al ribasso.

La portata dell'impatto (positivo) sull'economia reale è dubbia, dato che buona parte della capacità produttiva dell'industria giapponese è stata trasferita all'estero.
Per questa ragione, non siamo certi che il mercato azionario giapponese sarà in grado di compensare la svalutazione della valuta al netto degli effetti del cambio, pertanto preferiamo negoziare in yen. L'impatto deflazionistico della svalutazione dello yen sul resto del mondo è indubbio.
Siamo preoccupati non solo per la portata del rapporto tra debito e Pil del 245%, il livello massimo tra le principali nazioni al mondo, ma anche per il deficit del Paese superiore al 6% del Pil dal 2009. Col rendimento dei JGB (titoli di stato giapponesi) a 10 anni allo 0,3%, il finanziamento del debito non rappresenta un problema, e i JGB detenuti da investitori esteri sono solo l'8,9%, pertanto il rischio di default sovrano non sussiste nella sua forma tradizionale. Eppure la sostenibilità della posizione fiscale del Giappone viene messa sempre più in dubbio ed è probabile qualche forma di ristrutturazione del debito.



I prossimi anni si prospettano interessanti.

Andreas Utermann, Global Chief Investment Officer Allianz GI
 


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