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31/08/2016

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La nostra capacità di fare innovazione di prodotto o di processo deve sposarsi con le tecnologie digitali. Solo così saremo in grado di competere a livello internazionale e rendere ancora più vincente il Made in Italy sui mercati

Gay (Giovani Imprenditori Confindustria):
l'industria 4.0 e' il futuro migliore per le aziende

Dall'eCommerce all'Internet of Things, dall'adozione di nuovi flussi di produzione alla creazione di distretti sempre più liquidi. E' l'industria 4.0.
Oggi le aziende hanno la necessità di utilizzare al meglio le tecnologie digitali, che rappresentano una enorme opportunità di crescita. L'Italia ha un gap importante con i maggiori competitor. Per colmarlo occorre investire in formazione, banda larga, fare squadra e scatenare gli investimenti nel capitale di rischio. Ne abbiamo parlato con Marco Gay, Presidente Giovani Imprenditori Confindustria, che ci ha illustrato le sue proposte.

Industria innovativa, sostenibile e interconnessa. Quanto contano le tecnologie digitali?

Le tecnologie digitali, per creare un'industria di questo genere, sono probabilmente il driver e l'acceleratore che la rendono possibile, in tempi brevi e con costi certi.

La visione deve essere che le nostre aziende devono rinnovarsi, saper cogliere l'opportunità, senza mai dimenticare chi siamo. Siamo produttori manifatturieri di eccellenza. Il Made in Italy se fosse un brand sarebbe il terzo al mondo, quindi richiesto a livello internazionale. Questo deve essere accelerato e potenziato dalla nostra capacità di fare innovazione. Ce l'abbiamo nel DNA. Oggi bisogna sposarlo, e in fretta, con l'economia digitale perché dobbiamo non solo agganciare i nostri competitor ma prendere il posto che io ritengo che ci meritiamo.

Entriamo nel pratico: come si articola la trasformazione digitale nel manifatturiero?

E' un'articolazione che può essere veramente complessa. L'economia digitale ha mille rivoli, ha infinite prese in cui infilare la spina. La prima domanda da porsi è: "in che parte del mio processo e flusso produttivo posso accelerare con l'economia digitale". Quindi in un caso potrebbe essere nella produzione di un processo più veloce, un altro nel controllo di qualità, mentre in un altro caso ancora nell'Internet of Things (IoT) dei prodotti creati, oppure nell'eCommerce o nella gestione della rete commerciale sul territorio nazionale.


Un aspetto che potrebbe essere interessante per le tante imprese che magari oggi guardano con attenzione all'internazionalizzazione è quello che con l'eCommerce possono fare dei primi test, a costi contenuti, per vedere se un mercato è funzionante o no per un prodotto o un servizio.

Vediamo a un po' di numeri: qual è il costo del ritardo digitale e quale il ROI per gli investimenti?

Il ritardo oggi ci costa due punti di PIL l'anno. Stiamo parlando di una cifra incredibile che si porta dietro 700mila posti di lavoro. E si porta dietro anche un'altra cosa non banale: il ritardo per le aziende di agganciare quote di mercato e quindi corrono il rischio di perdere il mercato stesso. E quindi il ritardo dell'innovazione nelle nostre imprese significa perdita di capacità non solo di vivere ma anche di crescere. Se pensiamo che solo nel 2015 le aziende che sono fallite per l'84% non avevano neppure un sito Internet, vediamo un dato crudo e forte, ma che ci deve far ragionare sull'importanza di mettere il digital nella nostra economia, anche manifatturiera.


Lo sposalizio è vincente: possiamo chiamarlo Opening Innovation o digitalizzazione d'impresa, ma quello che è sicuro è che si tratta di un fattore scatenante e una necessità per il futuro delle nostre aziende.
Il ROI si può calcolare chiaramente in base all'investimento, ma credo che parlare di Return on Investment sia il giusto punto di partenza, perché molto frequentemente il digitale viene visto come un costo. Finalmente, se riuscissimo a far diventare un modo comune il fatto di parlare di ROI, credo che un buon piano digitale in 3-4 anni possa vedersi ripagato per poi dare buoni frutti. Probabilmente, se continuamente e innovativamente portato avanti, diventa utile anche nel tempo.

Che cosa serve all'Italia per colmare il gap?

La verità è che serve molto per colmare il divario e non bisogna girarci intorno. Noi abbiamo identificato quattro punti da mettere in atto e possibilmente presto.
Il primo ha come "core" la formazione, la capacità di incidere sulla cultura, sulla rivoluzione culturale di cui abbiamo bisogno.


Da una parte con corsi di "coding" nelle scuole, per avvicinare i ragazzi a questo nuovo mondo; dall'altra inserire nel Consigli di Amministrazione delle imprese un esperto digitale per favorire la contaminazione.
Il secondo punto sono gli investimenti. Abbiamo bisogno di scatenare gli investimenti nel capitale di rischio, perché un Paese con 4mila miliardi di risparmio privato non può non pensare come trasformare una infinitesima parte di questo in equity per fare crescere le aziende e fargli fare uno "scale-up".
Le infrastrutture sono il terzo punto. Quelle materiali sono importantissime ma altrettanto importanti lo sono quelle immateriali e necessarie. Finalmente abbiamo i bandi e adesso speriamo veramente che in 18-24 mesi ci sia la realizzazione del piano della banda ultralarga.
Quarto e ultimo punto è fare il gioco di squadra. Questo significa che le aziende, grazie anche all'economia digitale, possono lavorare insieme, favorendo le filiere e di distretti, che sono sempre più "liquidi", sempre più diffusi e aperti, proprio grazie a questi fattori di competitività e di crescita, di politica industriale che l'economia digitale può dare.




Quali sono gli step che dovrebbe fare un'azienda poco informatizzata per affrontare in modo pratico la trasformazione digitale?

Io credo che il primo punto da cui partire sono le infrastrutture di base, come in ogni cosa. Un'azienda deve dotarsi di un framework su cui poi incastrare poi l'eCommerce, il Magazzino digitale ecc. E poi avere una connettività a banda larga, e non magari qualche parabola che ci porta il segnale o l'ISDN, che purtroppo - sembra anacronistico dirlo - ma esistono ancora. Inoltre, spostare l'attenzione sull'investimento, per esempio, fatto in comunicazione per far avvertire la propria esistenza. Se ho il sito ma non lo dico è come non averlo. Ecco che magari occorre trasformare tutto quello che per noi oggi è sapere in saper fare. E quello che oggi molto spesso è dire in fare concretezza.

E come Giovani Industriali voi state spingendo sull'innovazione?

Certamente. A parte il fatto che noi siamo cresciuti in mezzo alle nuove tecnologie, ci rendiamo conto che ce ne è bisogno.


I nostri concorrenti, competitor e colleghi esteri stanno andando veloci, accompagnati da una visione di politica industriale del sistema-Paese che da noi fino ad oggi manca. Le dichiarazioni sono che a breve questa visione ci sarà e noi siamo qui perché non rimangano solo dichiarazioni, e il fatto di dire "facciamole insieme" è un bel pungolo per ottenere dei risultati.  


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