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22/02/2017

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Ambeskovic (The Fork): vogliamo diventare il primo sito di prenotazioni online in Europa

Da startup all'acquisizione da parte di TripAdvisor, l'app che offre vantaggi sia al cliente sia al ristoratore. Oltre 40mila locali registrati, di cui 8mila solo in Italia 

Un business che qualche anno fa non esisteva e che oggi è rilevante per il mercato. L'idea di startup italiane che compone l'offerta di un brand internazionale. Un imprenditore che su una visione prima fonda l'azienda e poi la vende a una multinazionale. Tutto questo nell'articolo dedicato a The Fork, con un'intervista a Almir Ambeskovic, Country Manager di TheFork.it.

Riusciamo a spiegare brevemente che cos'è The Fork?

The Fork è il principale sistema di prenotazione dei ristoranti presente in Italia, ma anche in altri 11 Paesi, principalmente in Europa. Abbiamo 40.000 ristoranti prenotabili online di cui 8mila sono in Italia.

Come nasce in Italia?

L'azienda è stata avviata due anni fa, frutto dell'acquisizione di due realtà italiane, una Restopolis e l'altra MyTable. Io avevo fondato Restopolis nel 2011 e ho iniziato dai primissimi ristoranti prenotabili online. TripAdvisor decise di muoversi all'interno di questo mercato e ha acquisito il gruppo francese Lafourchette e poi sono arrivate le successive acquisizioni in Italia.



Perché l'Italia è un mercato importante?

Il nostro è un mercato estremamente importante perché è molto grande sia in termini di ristoranti sia per il numero di persone che li frequentano. Quando sei anni fa abbiamo avuto l'idea di lanciare un sistema di prenotazione in Italia avevamo fatto questo tipo di analisi per capire di che mercato stavamo parlando. Ci siamo accorti che era un mercato enorme e il potenziale era importante.
Dall'altro lato, avevamo analizzato che c'era la presenza del mobile e degli smartphone. Io sono stato sempre fortemente convinto che questo servizio sarebbe stato sempre più mobile. E in effetti già sei anni fa l'Italia era uno dei principali player a livello mondiale per quanto riguarda la diffusione degli smartphone, anzi era il numero uno al mondo per numero di smartphone procapite. Gli ingredienti erano perfetti per tentare di lanciare questo servizio in Italia.

Cosa ha insegnato tutta questa esperienza sul campo?

Ci ha insegnato che il mercato è veramente difficile, perché come ben sappiamo si parte sempre dalla diffidenza da parte di tutti.

Dai ristoratori in primis che deve aprire le loro disponibilità al mondo web, che generalmente non capisce e di cui ha molta paura, e dall'altro lato il consumatore/utente che è spaventato dall'idea che non ha la sicurezza che il ristoratore realmente gestirà quella prenotazione.

Ricordi gli inizi?

Il primo periodo è stato quasi tragico, nel senso che il sito non era visitato. Abbiamo impiegato mesi per avere una prenotazione non da un amico. Certo, vedere la situazione oggi è tutta un'altra cosa. L'Italia è il mercato che sta crescendo più di tutti e abbiamo triplicato le prenotazioni rispetto all'anno precedente ed è un trend di crescita che continua ad andare avanti. Anche a gennaio 2017 le prenotazioni sono triplicate rispetto a gennaio dello scorso anno. Abbiamo 8mila ristoranti registrati, siamo la country con il maggior numero.

Come siete riusciti a rendere normale qualcosa che prima spaventava?

I vantaggi per entrambe le parti sono state il punto di forza. Per il ristoratore ora si ha un rapporto che permette di avere nuova clientela che va al locale.


Io ripeto sempre che per i ristoranti il costo principale da sostenere è il tavolo vuoto. Per riempirli crediamo di poterli supportare. Dall'altro lato hanno la possibilità di gestire tutto il flusso delle prenotazioni e gestirle solo in forma elettronica, più pratica e più facile. Inoltre si ha il vantaggio di avere un minimo di storico, se un cliente ha già mangiato, e poi c'è la possibilità di inserire le preferenze dei clienti, le intolleranze e via di seguito. Le informazioni sui clienti per un ristoratore sono molteplici, il vino, il tipo di tavolo, il cameriere o qualunque cosa serva per coccolare i clienti.

E per il cliente?

Io lo definisco utente per noi e cliente per il ristorante - perché chi offre il servizio finale è il ristoratore - ci sono diversi vantaggi. Poter prenotare 24/7, anche quando un ristorante è chiuso e sappiamo che in Italia alle 4 del pomeriggio non è possibile trovare qualcuno al ristorante. Certo, qualcuno fa la deviazione della chiamata, ma a livello di servizio non è granché. Ma c'è la possibilità, in molti casi, di risparmiare.

Come funziona?

I ristoratori, per promuoversi e avere più clientela, offrono degli sconti dei quali i nostri clienti possono beneficiare.


Anche qui c'è un aspetto importante perché gli sconti che offriamo in Italia sono su tutto il conto, perché abbiamo un'offerta molto chiara che garantisce uno sconto dal 20 al 50% sul conto finale, bevande incluse, senza alcun coupon.

Come senza coupon?

Questo è un altro aspetto fondamentale che siamo riusciti ad applicare perché il cliente non deve mai sentirsi un cliente di serie B, poiché presentarsi con un coupon ti rende diverso rispetto ad un cliente che è arrivato al ristorante per caso o per scelta. Chi si siede lo fa come tutti gli altri, vive l'esperienza come gli altri, ma alla fine paga di meno. Noi facciamo sentire il nostro utente smart e non di seconda classe. E poi c'è la possibilità di contribuire alla generazione dei contenuti, per cui alla fine dell'esperienza c'è la possibilità di recensire il ristorante, fattore che può influenzare la scelta degli altri utenti.

Ma per i ristoranti è un vantaggio?

Certo, perché sono spronati a fornire il miglior servizio possibile perché i nostri utenti possano influenzare i prossimi.


Di fatto, ogni persona che prenota su The Fork è un potenziale influencer e questo porta ad offrire un servizio addirittura migliore. Alcuni ristoratori dicono che loro stessi sentono una responsabilità maggiore nei confronti degli utenti di The Fork, perché quella persona è andata sul sito e tra le centinaia di ristoranti di quella città ha scelto il suo e questa scelta la sentono come una responsabilità importante e cercano di motivare tutto lo staff per fare di più.

Parliamo invece dell'esperienza manageriale di Almir, non dell'imprenditore Ambeskovic: com'è cambiato e cosa hai imparato?

Io ho iniziato sei anni fa la mia esperienza fondando una startup, andando a cercare il primo, il secondo e il terzo ristorante e gioendo per ogni singola prenotazione. Fin dall'inizio abbiamo fatto un'analisi approfondita, per cui il pricing che abbiamo definito sei anni fa è rimasto invariato oggi ed è diverso rispetto al pricing del resto del gruppo. Non abbiamo mai avuto il timore nel presentarci di fronte ai ristoratori come una realtà piccola, perché la differenza principale tra una startup e una PMI, che è il vissuto economico italiano, è che nasce piccola ma sogna di diventare grande.


Fin dall'inizio abbiamo ragionato in grande ed è vero che abbiamo fatto degli errori di stima, anche in maniera clamorosa, ma perché eravamo più pessimisti rispetto a quello che sarebbe accaduto.
Le prime presentazioni erano su un banale foglio A4, fatta solo di testo e senza immagini, dove raccontavamo il nostro servizio a punti e a un certo punto dicevamo che a regime credevamo di portare 2mila persone all'anno. Tanti ristoratori ci dicevano che era impossibile e "ci state raccontando delle bugie". Noi oggi abbiamo dei ristoranti che ricevono più di 3mila persone al mese, quindi effettivamente avevamo sbagliato i conti. Meglio essere pessimisti che ottimista, perché in genere si pensa di poter fare di più e invece si fa di meno.
Nel corso degli anni l'approccio mio, anche nei confronti dell'azienda era diverso rispetto a quello di oggi. Abbiamo iniziato ad assumere le persone per la prima struttura e la difficoltà era maggiore per trovare le risorse disponibili a lavorare con noi, perché offrivamo contratti con poche garanzie e ovviamente eravamo anche una realtà che poteva chiudere da un momento all'altro, e non tutte le persone erano disposte venire.


La sfida era trovare personale che avesse piacere di lavorare con noi e accettasse queste condizioni. Non sempre si poteva contare sulle risorse migliori, ma posso dire che abbiamo avuto fortuna perché tutte le persone che abbiamo trovato sono tutt'ora in azienda e sono tra i migliori dipendenti. In parte, è dovuto all'esperienza accumulata.

Poi è arrivata TripAdvisor...

Una volta acquisiti da un player di questo tipo, è cambiato un po' tutto. Da quindici persone siamo passati a una cinquantina e ovviamente trovare le figure sul mercato era più facile; stipendi migliori, più garanzie e una prospettiva di crescita un po' più garantita. Anche se siamo all'inizio ed è più facile rispetto a realtà più consolidate.
Se una volta dovevo fare tutto in prima persona - era una realtà molto orizzontale e ogni singola persona andava a riportare a me - con una realtà più strutturata ci sono dei manager che hanno le responsabilità e che gestiscono i loro team in autonomia. Questo concetto dell'autonomia per me era fondamentale, tanto che scherziamo ancora oggi perché al primo meeting che abbiamo organizzato avevo detto che il mio obiettivo era stare a bordo di una piscina con un cocktail in mano e l'azienda andava avanti perfettamente anche senza di me.


Io devo essere un valore aggiunto, altrimenti stavo sbagliando qualcosa. Ovviamente non sono in piscina e sono in ufficio perché il senso era metaforico, ma è quello che è accaduto. E oggi ho delle persone che sanno benissimo che cosa fare e dove io posso permettermi di portare del valore aggiunto. Posso avere il tempo per andare a capire meglio cosa sta succedendo, prevedere i tempi e cercare qualcosa di nuovo che ci può aiutare a crescere, da un lato, ma dall'altro avere anche una crescita solida e sicura.

Crescere: per molte startup è un problema...

Ho visto tante realtà che sono esplose e morte in poco tempo perché il loro business si è ridimensionato in maniera netta. Per me conta che questa crescita sia solida e si vada sempre avanti e non si torni indietro.

Ma personalmente, come sei cambiato? I tuoi sogni sono cambiati?

Io iniziato la mia carriera imprenditoriale quando avevo vent'anni e ho sempre avuto delle aziende mie. Restopolis è stata la terza azienda che ho fondato, ma era diversa dalle altre, che erano tradizionali, che si autofinanziavano e che potevano basarsi sui prestiti bancari, come le PMI classiche italiane.


Restopolis era un'esperienza diversa perché la tipologia di business è "bruciacassa" e richiede investimenti, dovevo comunque aprirmi ad un azionariato differente. Da questo punto di vista cambiava molto tutta l'impostazione ed era una sfida nuova, perché era qualcosa che non avevo mai fatto prima. Quando ho venduto Restopolis avevo 42 soci, e tutto il lavoro di fund rising l'avevo fatto uno a uno, perché i fondi di venture capital sono pochi e magari a qualcuno non stai simpatico, un altro è in fund rising, un altro ancora investe su una diversa tipologia di business e ti sei bruciato ogni possibilità. Alla fine mi sono fatto le spalle larghe per quanto riguarda questa tematica.
In me è cambiata la consapevolezza di poter fare delle cose di un certo tipo ed è migliorato il livello di riconoscimento. L'immagine personale nei confronti di certe persone è sicuramente cambiata molto, ed è un costume tutto italiano. Per me non è quello che conta. Il mio obiettivo era portare un qualche cosa che un domani tutti avrebbero utilizzato e non voglio cambiare il mondo, ma se si riesce a migliorare qualcosa e posso portare il mio contributo questo mi fa piacere.


Ed è quello che sta accadendo.
Il mio obiettivo è quello di fare in modo che un po' tutti, ma quasi tutti gli italiani per andare in un ristorante passino attraverso il nostro sistema perché non c'è un motivo per non farlo ed è un po' un sogno che pian piano si sta realizzando, vedendo i risultati che stiamo avendo. Nel giro di poco tempo potremmo diventare il primo Paese in Europa per le prenotazioni online e questa è una grande soddisfazione.


 


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