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12/04/2017

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Di Fraia (Iulm): le aziende non sanno ancora come sfruttare i social media  

I manager dovrebbero acquisire gli strumenti culturali e concettuali per poter affrontare con competenza le sfide e le opportunità che il digitale offre alle imprese

Nel corso di un'affollatissima presentazione tenuta il 28 marzo nel corso della parte pubblica dell'Assemblea di Ibc - Associazione delle Industrie dei Beni di Consumo, Centromarca -, ha snocciolato dati su come le imprese utilizzano i social. Ne emerge un quadro in chiaro-scuro: sono tantissime su internet, moltissime sui social, ma poche posseggono il mix giusto per massimizzare i due profili.
Nulla di grave, per intendersi, solo la necessità di proseguire nella crescita e nell'acculturamento su cosa siano e come si utilizzano i social. Non perdendo di vista la centralità della strategia che deve essere sviluppata e gestita entro le quattro mura dell'azienda.
Ne abbiamo parlato con Guido Di Fraia, Docente Iulm, ideatore e direttore del Master in Social Media Marketing & Digital Communication e consulente aziendale sui temi di Strategia di comunicazione e marketing digitale, che in questa intervista tratteggia alcune problematiche con le quali le imprese debbono confrontarsi quotidianamente.

Professore, quali sono a suo giudizio i tre grandi limiti nell'utilizzo che le imprese fanno dei social?

Molte li usano ancora senza una visione strategica d'insieme in grado di connettere le attività sui social con quelle sugli altri canali e, soprattutto, con gli obiettivi di business e di marketing
Spesso utilizzando modelli comunicativi e tono di voce propri dei media classici e quindi autoreferenziali, autocelebrativi, promozionali in cui è il brand e/o i prodotti che parlano di brand/prodotti.

Anche in casi più avanzati, è davvero raro che tra gli obiettivi di comunicazione sul canale ci sia quello di stimolare gli utenti a produrre loro stessi contenuti.
Infine, molte ne fanno un uso ancora in gran parte "accessorio" rispetto ad altri canali, arrivando ad attivarli (ancora) secondo logiche "Me too" senza sapere quindi di fatto perché lo fanno se non per "sperimentare". Ma sperimentare senza un commitment forte e competente si traduce quasi sempre in una delusione che certo non facilita l'avanzamento della cultura aziendale su questi temi.

Ho trovato molto interessante il dato che evidenzia come due settori sembrano più restii all'utilizzo dei social: qual è la motivazione?

Difficile capire perché certi settori sono più avanti di altri... E' un tema su cui incidono troppe variabili come cultura aziendale, tipologia di prodotto, competitività del mercato, dimensioni aziendali, possibilità di investimento, ecc. ecc. Certo in alcuni settori è più facile: il canale social è certamente più facile da gestire ottenendo risultati nel settore automotive di quanto non possa essere nel settore dei beni di largo consumo.

Ma le banche, per esempio, che sono l'ultimo settore che già 6 anni fa ci immaginavamo meno "adatte" ai social, hanno da sempre performato molto bene lavorando sulle opportunità offerte dai social in termini di care

Lei ha correttamente evidenziato come il digitale non debba essere esclusivo appannaggio dei giovani: quali sono le motivazioni di questa sua affermazione che in molti hanno condiviso?

Perché il saper muovere le dita su uno screen con più naturalezza di un anziano, o saper postare le foto dell'apericena sui social, non sono certo requisiti sufficienti per poter gestire strategicamente un canale social o anche semplicemente per essere in grado di produrre contenuti corretti per quel canale.
Sarebbe come dire che tutti quelli che sanno usare una penna a sfera sono in grado di scrivere romanzi! Quello che conta sono le competenze specifiche acquisite, e non solo quelle sul campo, ma quelle che si acquisiscono studiando in percorsi formativi seri e della giusta durata.
Oggi ci sono in giro troppi percorsi formativi e Master che lo sono (formativi e Master) solo di nome.
Io - in quanto formatore accademico che da oltre 10 anni si occupa di questi temi - non posso che perorare la causa della formazione di alto livello, ma non certo per atteggiamento snobistico, ma perché il digitale è materia complessa, estremamente ricca, in costante evoluzione, in cui dimensioni molto tecniche si integrano con aspetti di carattere strategico di ampio respiro e bisogna essere in grado di avere visioni d'insieme, anche se poi ci si specializza in un ambito specifico (Seo, Sem, Community management, ecc.


).
Per cui, se uno è preparato ed è anche giovane, bene. Ma ben venga la persona matura se è competente piuttosto che molti giovani che lavorano in azienda. E, vi assicuro, nelle agenzie che hanno come qualità solo quella di essere giovani e appassionati di social, che sono le caratteristiche che molte delle aziende che quotidianamente ci richiedono stagisti o persone da assumere ci indicano come unici requisiti!

Le imprese e i loro manager, anche giovani, debbono riacquistare una centralità che si è perduta?

I manager devono continuare ad occuparsi delle cose di cui i manager si dovrebbero occupare: individuare obiettivi e fare strategie. Se le strategie coinvolgono i canali digitali (e come può ormai essere diversamente!) dovrebbero essere in grado di considerarli.
Il problema è che in Italia la maggior parte dei manager non è giovanissima (uso un eufemismo) e non è del tutto competente o non ha compreso appieno il cambiamento di paradigma che il digitale rappresenta per la comunicazione e il marketing aziendale (altro eufemismo). E finisce pertanto per tralasciarli o, se ha risorse da investire, per delegare alle agenzie "la strategia digitale".



Ma fare strategia di marketing o occuparsi della gestione strategica del o dei brand, non sono compiti delegabili alle agenzie!
Quindi, più che riacquistare una centralità perduta i manager dovrebbero acquisire gli strumenti culturali e concettuali per poter affrontare con competenza le sfide e le opportunità che il digitale offre alle imprese. Se non li hanno dovrebbero trovare il modo di procurarseli (personalmente o dotandosi di collaboratori competenti). E se non sono in grado di farlo, dovrebbero (essere invitati a) farsi da parte.
Il tema dell'arretratezza culturale delle imprese rispetto ai temi dell'innovazione digitale è uno dei fattori principali su cui si gioca, a mio avviso, la competitività del nostro Paese. Non possiamo non avere il coraggio di dircelo!

Quali sono le responsabilità di cui l'università può farsi carico per formare dei giovani che sapranno usare il digital ma non hanno una cultura d'impresa?

L'università ha tutte le carte in regola per formare i giovani dando loro, per quanto possibile, competenze e cultura d'impresa.



La Iulm, per fare l'esempio che conosco maggiormente essendone responsabile e, a suo tempo, ideatore, ha un percorso di studi che si articola su una magistrale in Marketing Consumi e Comunicazione con indirizzo Digital e un Master Executive in Social Media Marketing e Digital Communications, nei quali la maggior parte dei docenti proviene dalle aziende che fanno di mestiere marketing e comunicazione digitale. Entrambi i percorsi prevedono una forte integrazione con il mondo delle imprese con workshop formativi incentrati su problemi reali proposti da aziende esterne che vengono affrontati, insieme ai docenti e ai tutor accademici e aziendali, come vere e proprie progettualità su "commessa esterna".
Gli studenti della magistrale sono poi tenuti a fare lo stage curriculare in azienda, mentre quelli del master, (molto noto nel settore in quanto giunto ormai alla sua nona edizione), pur non avendo obbligo di stage, trovano moltissime opportunità per farlo grazie ad una domanda da parte delle aziende che è da sempre molto superiore agli studenti che riusciamo a formare.
In questi ultimi mesi, per altro, anche le grandi agenzia di recruitment presenti in Italia si sono accorte che certi profili nel mondo del digital si possono formare davvero solo in università.


E la Iulm sta attivando molte relazioni di valore finalizzate proprio a far incontrare la domanda di figure di alto livello su questi temi con l'offerta rappresentata dagli studenti che ogni anno escono dai nostri percorsi di studio.

@federicounnia - Consulente in comunicazione
 


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