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08/11/2017

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I lavoratori sono disposti ad investire per aggiornare le proprie competenze

Cerasa (Randstad): il 96% considera l'apprendimento continuo fondamentale per migliorare la propria occupabilità e il 94% ritiene che l'aggiornamento sia una propria responsabilità

A quanto pare, gli italiani non smettono mai di studiare e di investire nella propria formazione. La grande maggioranza dei lavoratori del Bel Paese ritiene che l'apprendimento continuo sia fondamentale per migliorare la propria competitività sul mercato del lavoro (96%) e per restare aggiornato sull'evoluzione del proprio ambito professionale (81%). Una convinzione che i lavoratori mettono in pratica molto spesso, dal momento che il 71% di loro ha svolto una o più attività di formazione nell'ultimo anno. Se nel 66% dei casi l'apprendimento continuo viene finanziato dai datori di lavoro, ben il 94% dei dipendenti pensa che l'aggiornamento delle competenze sia una propria responsabilità. Più di due lavoratori su tre, infatti, sono disposti a investire in percorsi di aggiornamento professionale e quasi un italiano su due afferma di sentire il bisogno di un personal coach che metta a disposizione la sua specializzazione con consigli utili allo sviluppo della carriera.
È un clima di generale consapevolezza della necessità di essere sempre aggiornati e competitivi per avere successo nel mondo del lavoro quello che emerge in Italia dall'ultima edizione del Randstad Workmonitor, l'indagine trimestrale sul mondo del lavoro di Randstad, secondo operatore mondiale nei servizi per le risorse umane, condotta in 33 Paesi del mondo su un campione di 400 lavoratori di età compresa fra 18 e 65 anni per ogni nazione.


"Gli italiani sono ormai diventati consapevoli che, in un mondo del lavoro sempre più flessibile e mutevole, ciò che fa la differenza per la propria professionalità sono le competenze e l'aggiornamento continuo", dichiara Marco Ceresa, Amministratore Delegato di Randstad Italia. "Malgrado i lavoratori del nostro Paese siano mediamente più allineati con i progressi del proprio settore (92%, quattro punti sopra la media globale) e più convinti di trovarsi già nelle condizioni di esprimere tutto il loro potenziale (84%, 11 punti in più della media globale), la maggioranza di loro avverte la presenza di un gap da colmare. Ben il 99% dei dipendenti, infatti, sente il bisogno di seguire più corsi di formazione per restare aggiornato e migliorare le proprie competenze professionali (76%) e personali (45%). È un bene che i lavoratori si aggiornino autonomamente, ma le imprese devono supportarli investendo molto di più in programmi di apprendimento continuo per i propri dipendenti, perché un lavoratore formato e in grado di esprimere tutto il suo potenziale è più motivato e produttivo e l'investimento si ripaga anche sotto forma di una maggiore capacità di attrarre e trattenere i migliori talenti sul mercato".



I risultati della ricerca

Nel dettaglio, secondo i risultati della ricerca, il 96% degli italiani punta sull'apprendimento continuo per aumentare le proprie possibilità di trovare o mantenere un posto di lavoro, contro il 90% della media globale, e il 94% sente che mantenere aggiornate le proprie capacità e competenze sia una propria responsabilità, tre punti in più della media globale. Una sensazione che spesso è avvertita più intensamente dai lavoratori giovani e di genere femminile (il 42% dei dipendenti fra 18 e 44 anni e il 43% delle donne), che dalle risorse con maggiore anzianità lavorativa e di genere maschile (il 38% degli over 45 e il 37% degli uomini).
Nell'ultimo anno, il 71% dei lavoratori italiani ha svolto una o più attività formative. Un risultato in linea con la media globale (pari anch'essa al 71%), ma che presenta alcune differenze se si analizza il dettaglio delle singole attività di aggiornamento a cui partecipano i dipendenti. Gli italiani si dedicano principalmente a programmi di studio e formazione (37%), corsi online (29%) e workshop, seminari, conferenze (24%), mentre una percentuale più bassa partecipa a sessioni personali di formazione (19%) o si rivolge a un consulente specialista (7%).

A livello globale, emerge la stessa preferenza per programmi di studio e formazione (37%), ma riscuotono maggior successo seminari, workshop e conferenze (36%), mentre sono meno gettonati i corsi online (24%) le sessioni personali di formazione (11%) e la consulenza di uno specialista (8%, comunque superiore di un punto al risultato italiano). Il 66% di queste attività sono finanziate dai datori di lavoro (dato in linea con la media globale), ma ben il 70% dei dipendenti (contro il 67% della media globale) è disposto a pagare per seguire percorsi di aggiornamento professionale; una propensione molto più diffusa nella fascia di età 18-44 (75%) che negli over 45 (62%).
Se solo il 7% degli italiani si è effettivamente rivolto a un personal coach nell'ultimo anno, ben il 48% avverte l'esigenza di un consulente specializzato che aiuti a indirizzare nel verso giusto la propria carriera (contro il 52% della media globale). Le generazioni più giovani sono quelle maggiormente attratte dalla possibilità di avere a disposizione un tutor personale: quasi due su tre nella fascia di età 18-24 anni, il 56% dei 25-34enni e il 54% dei 35-44enni.


Superando i 45 anni, invece, l'interesse cala drasticamente sotto il 50%: sente questa necessità il 43% dei 45-54enni e soltanto il 28% degli adulti fra i 55 e i 67 anni.
L'interesse dei lavoratori italiani per questa modalità di formazione è molto inferiore a quello di persone che vivono in Paesi dove questa figura esiste da tempo (ad esempio gli Stati Uniti, dove l'84% è interessato a un personal coach), ma l'Italia è fra i Paesi europei più attirati dalla possibilità di formarsi con un tutor personale (superata solo dal 53% della Grecia e alla pari con la Francia), mentre l'interesse è molto meno diffuso nell'Europa dell'Est (media 25%), Centrale (media 30%) e del Nord (media 31%).

Indici trimestrali

Mobilità - Nel secondo trimestre 2017, rispetto al precedente, la mobilità dei lavoratori non ha subito variazioni livello globale, restando stabile a 109 punti. Il mercato italiano appare leggermente più dinamico rispetto agli scorsi trimestri, registrando un miglioramento di un punto, che porta l'indice di mobilità da 99 a 100.
Cambio di lavoro - L'80% dei lavoratori italiani non ha cambiato né mansione né datore di lavoro negli ultimi sei mesi, il 12% dei dipendenti ha cambiato soltanto azienda, un altro 5% ha cambiato ruolo all'interno della stessa società, solo il 2% ha cambiato sia l'impresa che la posizione ricoperta.



Ricerca di lavoro - Soltanto il 4% degli italiani sta attivamente cercando un altro lavoro, il 6% sta selezionando nuove opportunità, il 28% non si sta impegnando attivamente nella ricerca ma se capitasse un'occasione sarebbe aperto ad ogni possibilità, il 22% si sta guardando attorno ma senza particolari impegno e aspettative, mentre ben il 40% dichiara di non cercare lavoro.
Soddisfazione del lavoro - Pur occupando stabilmente la seconda metà della classifica, nel complesso gli italiani sono contenti della loro situazione occupazionale: il 65% è soddisfatto, il 23% non esprime un giudizio né positivo né negativo, mentre solo il 12% è insoddisfatto del proprio lavoro.
Timore di perdere il lavoro - Nell'ultimo trimestre, gli italiani restano abbastanza sereni riguardo alle opportunità offerte dal mercato del lavoro anche se in misura leggermente inferiore rispetto alla scorsa rilevazione. Infatti, soltanto il 9% dei lavoratori teme di perdere il posto, ma questo dato è salito di due punti percentuali dallo scorso trimestre (gli uomini sono i più insicuri, con una crescita dal 6% all'8%).


Il 51% degli intervistati è fiducioso nella possibilità di trovare un'occupazione analoga nel giro di sei mesi, mentre cresce di quattro punti rispetto al trimestre scorso la fiducia di trovare un lavoro diverso (48%). A percepire una maggiore sicurezza in entrambi i casi sono le donne (+10% e +7%) ed i giovani nella fascia fra i 18 e i 24 anni (+17% e +16%).


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