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30/05/2018

idee

La meccanica traina la crescita italiana e nel 2022 avremo un surplus di 115 miliardi di euro

De Felice (Intesa SanPaolo): dalla crisi sono sopravvissute aziende che adesso sono più forti e più competitive. Hanno fatto investimenti in tecnologia, sono riuscite a consolidare la loro posizione finanziaria ed esportano molto di più

Nel biennio 2018-19, l'industria manifatturiera italiana registrerà un consolidamento dell'attuale tendenza positiva: l'attività produttiva crescerà del 2.4% per quest'anno e del 2.1% nel 2019 (a prezzi costanti), consentendo al fatturato di riportarsi sui livelli del 2007. Nel 2020-22 si potrà osservare un graduale rallentamento dei livelli di attività, al di sotto del 2% (a prezzi costanti), coerentemente con un fisiologico ripiegamento ciclico della domanda.
Le prospettive di crescita si basano su fondamentali solidi, pur in uno scenario non esente da rischi. Il processo di rinnovamento che ha interessato il manifatturiero negli ultimi anni, ha restituito un sistema industriale con un minor numero di imprese, ma più competitive: aumento delle dimensioni medie aziendali, migliore capacità di radicamento sui mercati esteri, adeguamento della base occupazionale, upgrading tecnologico degli impianti, recupero della redditività, sono i principali segnali della trasformazione in atto.
Non si arresta il processo di miglioramento del saldo commerciale, che è previsto superare i 115 miliardi di euro nell'orizzonte del 2022.

Il principale contributo verrà dalla meccanica, che da sola garantirà 11 dei 25 miliardi di incremento del surplus, ma anche dall'alimentare e bevande e dalla farmaceutica, fino a pochi anni fa settori in deficit strutturale con l'estero.
Il ranking settoriale di medio termine vede la meccanica protagonista della crescita, insieme ad autoveicoli e moto ed elettrotecnica. Si confermerà, inoltre, la specializzazione dell'Italia come base produttiva nella Farmaceutica e nel Largo Consumo.
Sono solamente alcune delle evidenze contenute nell'Analisi dei settori industriali, a cura dell'Ufficio Studi di Intesa Sanpaolo e di Prometeia. Sulle prospettive della manifattura italiana abbiamo intervistato Gregorio De Felice, Capo Economista Intesa SanPaolo.

Quali sono le maggiori evidenze del rapporto a livello macroeconomico internazionale?

Abbiamo dei piccoli segnali di rallentamento legati al trend del commercio internazionale, che è un po' meno vivace rispetto al passato, e poi legati al fatto che la politica monetaria, come è giusto che sia dopo un periodo espansivo così lungo, comincia ad andare verso la normalizzazione.

In particolare, negli Stati Uniti, dove c'è un primo ciclo di rialzo dei tassi che noi crediamo potrà proseguire nel prossimo biennio e arrivare ad un tasso del 3% per i Federal Funds. E' un rallentamento di qualche decimo di punto: dal 3,9% quest'anno di crescita mondiale, ci aspettiamo un 3,7% nel 2019 e un 3,5% nel 2020. Niente di drammatico, però è anche fisiologico avere un minimo di pausa di consolidamento della crescita.

Veniamo al settore manifatturiero: qual è attualmente il suo rapporto in relazione al PIL italiano e come si sta movendo in questa congiuntura?

In termini contabili l'industria pesa poco più del 20% per il PIL Italiano, però gioca un ruolo di traino nel complesso dell'economia, perché vediamo sempre come sia il settore più ciclico, più ciclico dei servizi, che attiva una quantità di valore aggiunto nell'ambito dei servizi. La previsione del manifatturiero italiano è del +2,4% per quest'anno e del 2,1 nel 2020. Quindi, come si vede, è un valore di crescita più alto rispetto alle previsioni del PIL, che sono intorno all'1,2% e 1,3% per quest'anno e il prossimo.

Come si è migliorato il contesto operativo?

Abbiamo avuto un profondo processo di trasformazione del tessuto produttivo italiano perché, purtroppo, molte imprese che avevamo nel 2007 hanno chiuso i battenti, con tutto quello che ne consegue in termini di occupazione e posti di lavoro.


L'aspetto positivo è che quelle aziende che sono rimaste sono oggi più forti rispetto ad allora e più competitive. Questo perché hanno fatto investimenti in tecnologia, sono riuscite a consolidare la loro posizione finanziaria, ad avere un patrimonio più alto, e perché hanno innovato molto. E, soprattutto, perché esportano una quota rilevante del loro fatturato. Tutte queste imprese hanno oggi un andamento della produttività che è decisamente migliorato.

Quali sono i settori che si sono messi più in evidenza?

Il comparto dell'automobile e quello della meccanica. In previsione vediamo un forte miglioramento per quello degli elettrodomestici. Il settore alimentare italiano, che partiva da livelli di capacità di esportare ingiustificatamente bassi, oggi ha risultati eccezionali sui mercati internazionali e credo potrà dare un forte contributo alla crescita del nostro export.

Lei prima ha citato la produttività. L'Italia è fanalino di coda in Europa. E' un dato fuorviante?

Sì, perché quel +5% della produttività del nostro Paese è il dato complessivo dell'economia, quindi include costruzioni, agricoltura, servizi e servizi professionali, dove in alcuni settori abbiamo un eccesso di offerta.


Il nostro dato si confronta col +24% della Germania. Ma se noi restringiamo il campo soltanto al settore dell'industria, quel +5% di produttività del lavoro diventa un +22,8%. Questo giustifica e ci fa capire come mai sui mercati internazionali abbiamo un successo così importante.

E questo ribadisce la nostra vocazione all'export?

Questo ci porta ad aver ottenuto risultati in termini di avanzo commerciale con l'estero estremamente importanti. Quest'anno abbiamo un avanzo di 91 miliardi di euro e, nella nostra previsione che arriva al 2022, salirà a 115 miliardi. Per avere un termine di confronto, nel 2007 il nostro avanzo commerciale era appena di 30 miliardi. In 15 anni passare da 30 a 115 miliardi penso che sia un risultato ottimo, eccezionale e davvero molto importante.  


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