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04/07/2018

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Favino: anche l'attore è un'azienda ed un brand

Investire nella produzione cinematografica può finanziariamente essere molto interessante, anche grazie al Tax Credit

E se il cinema oltre che espressione di cultura, di riconosciuto presenza del Made in Italy nel mondo, fosse anche un vero business a livello di investimento finanziario? Può per le aziende essere più efficace e redditizio della pubblicità? E come può un attore diventare un vero e proprio brand? Ne abbiamo parlato con Pierfrancesco Favino.

Lei ha fatto una scelta coraggiosa affiancando alla professione di attore quella di produttore. Di fatto è diventato un imprenditore. Quali sono le motivazioni?

La mia prima esperienza risale al 2014 insieme a Maurizio Piazza con cui ho co-prodotto "Senza Nessuna Pietà". Insieme a noi Alexandra Rossi e al contributo fondamentale di Rai Cinema. PKO, Lungta Film e Rai Cinema hanno dunque permesso a Michele Alhaique di girare la sua opera prima da regista. Permettere ai talenti ed ai giovani di avere queste possibilità è senza dubbio la prima motivazione, quanto quella di partecipare al processo creativo e concepire da zero un prodotto, una proposta per il pubblico ed il mercato.


Oggi sono al lavoro, ancora con Maurizio Piazza, per la produzione del terzo lungometraggio di Claudio Noce. Progetto attualmente in fase di sviluppo.

Attore come brand: solo un modo diversi di generare valore o c'è di più?

Il mondo del lavoro sta cambiando in ogni settore, mi percepisco come un brand dal momento che le dinamiche sono a volte le stesse che guidano un marchio o un prodotto. Da questo punto di vista credo rientri nel campo della propria professionalità lavorare sulla propria immagine e la propria comunicazione, capisaldi per proporre il proprio lavoro al pubblico e moltiplicare le forme di business.

Nel mondo c'è "fame" di Made in Italy: può essere la cultura un driver di business? E' una tematica che si applica anche al nostro cinema e alla nostra creatività? E come si può intervenire per promuoverla?

Il "Made in Italy" é una forza eccezionale che ha il suo apice nei luoghi dell'eccellenza. La cultura è un driver del business senza alcun dubbio. Possiamo anzi dire sia il primo in assoluto. L'arte e il design, la moda, la musica e le arti in generale, sono una parte fondante di ciò che gli altri percepiscono come unico del nostro Paese.

 Il cinema lo è stato e lo è ancora come dimostrano diverse produzioni nazionali esportate all'estero ed i premi dei festival internazionali, anche recenti.

Lei ha parlato di "educare il tuo buyer": è inteso come lo spettatore che sceglie o l'eventuale finanziatore?

Entrambi. Lo spettatore può essere fidelizzato con politiche di educazione al cinema nazionale come già avviene ad esempio in Francia, con politiche educative tramite l'insegnamento della storia del nostro cinema nelle scuole e delle tecniche cinematografiche. Il finanziatore ha oggi a disposizione strumenti fiscali che consentono agevolmente la partecipazione a produzioni cinematografiche italiane.
Credo si conoscano troppo poco le dinamiche e le potenzialità del nostro sistema. Le occasioni per fare business col cinema ci sono e sono percorribili.

Con la legge sull'Art Bonus le imprese possono finanziare anche il settore artistico. Quali sono, o dovrebbero essere, i criteri con cui le imprese arrivano a scegliere quali progetti finanziare?

Più che l'Art bonus, strumento validissimo di finanziamento per il sostegno a enti culturali, oggi il Tax Credit consente agevolmente la partecipazione al finanziamento di opere cinematografiche.


I criteri possono essere diversi a seconda dell'utile che il finanziatore o l'azienda prevedono di guadagnare.
In alcuni casi film che hanno avuto ritorno anche solo nei festival e non in termini di riuscita economica in sala sono stati per alcune aziende un moltiplicatore di business successivo difficilmente ottenibile altrimenti se non attraverso investimenti con costi decisamente maggiori. In altri casi la riuscita economica del film ha significato un utile diretto ma, almeno per il risultato della sala, più raramente ottenibile.

Rapporto rischio-rendimento nel cinema: come si valuta?

Come per qualsiasi operazione finanziaria dipende dal grado di aggressività dell'investitore. Gruppi produttivi e distributivi più solidi possono all'apparenza poter garantire maggiore solidità così come la squadra creativa, attori e registi di nome che ne fanno parte.
I titoli di maggior successo commerciale degli ultimi anni per contro, penso a titoli come "Perfetti sconosciuti", "Lo chiamavano Jeeg Robot" e più ancora ai film di Checco Zalone, sono nati da operazioni più rischiose e meno garantite che hanno prodotto utili inattesi.




Sotto l'aspetto investimenti aziendali, può essere il cinema più efficace della pubblicità?

Ci sono esempi storici di investimenti che in questo senso sembrano dimostrarlo. Penso a grandi stilisti il cui lavoro anche grazie al cinema degli anni 80/90 si è radicato nell'immaginario collettivo con una forza e una rapidità maggiore che con una campagna pubblicitaria.
Oggi le aziende investono in video più che in pubblicazioni, nei social più che sui giornali. Il costo è minore e le visualizzazioni crescono. In più la distribuzione di un film non va pensata solo alla sua uscita in sala ma sulle uscite successive nelle sempre più numerose piattaforme che lo trasmetteranno. Banalizzando, si fa un investimento oggi per una visualizzazione che dura almeno due anni.

Che cosa comporta per il comparto cinema il passaggio alla multipiattaforma?

Come dicevo precedentemente, ritengo sia una grande opportunità. Dal punto di vista commerciale si torna a una maggiore competitività, quindi a investimenti maggiori e a più produttività.
Dal punto di vista della fruizione è evidente che il presente e sempre più il futuro debba essere pensato per uno spettatore che decide di godere il prodotto in modalità diverse.


E' anche uno sprone per migliorare la qualità delle sale e ciò che offre per i tanti che alla visione domestica prediligono e prediligeranno ancora i cinema.
 

Si ringraziano Alessandro Folador di Carryover Pr e Nicola Guglielmi di Tendercapital
Foto di Daniele Barraco


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