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05/09/2018

economia

Perchè Italia e Spagna non causeranno una crisi vera e propria

Lenoir (Aviva Inv.): i cambi di governo hanno lanciato un avvertimento di nuove turbolenze politiche in Europa. Ma è improbabile che, nel breve periodo, uno di questi rappresenti una sfida per l'integrità dell'eurozona o dell'UE

Per gran parte dell'anno, i timori degli investitori sul rischio politico si sono incentrati sulle crescenti tensioni tra USA e Cina e sulla politica del rischio calcolato tra Donald Trump e Kim Jong Un. Nei mesi di maggio e giugno, tuttavia, l'attenzione è nuovamente tornata sull'Europa, dove due sviluppi potenzialmente significativi in due Paesi membri chiave dell'Unione europea hanno sollevato questioni sulla stabilità dell'eurozona.
In Italia, la Lega, il partito anti-immigrazione ed euroscettico, e il Movimento 5 Stelle (M5S), hanno formato una coalizione di governo il 31 maggio, ponendo fine a quasi tre mesi di stallo politico a seguito di elezioni senza un vincitore. I piani del nuovo governo di tagliare le tasse, incrementare la spesa per il welfare e rivedere le regole UE su budget e immigrazione, se portati a termine, sembravano una certezza per entrare in rotta di collisione con Bruxelles.
Il primo di giugno, intanto, Mariano Rajoy è diventato il primo premier spagnolo a perdere un voto di sfiducia in parlamento, dai tempi della transizione del Paese verso la democrazia, nel 1975.

Il partito socialista di Pedro Sánchez, che ha sostituito Rajoy, dispone di appena 84 seggi in un parlamento di 350. L'impegno del nuovo governo verso la stabilità fiscale dovrebbe garantire a Sánchez di essere bene accolto dai rappresentanti UE a Bruxelles. Tuttavia, le nuove amministrazioni di Italia e Spagna paiono instabili, avranno con probabilità vita breve e difficoltà nell'approvare le leggi.

La coalizione italiana cambia (già) rotta

La coalizione Lega-M5S si è ben presto resa conto di quanto sarebbe difficile mantenere le promesse fatte. Un potenziale scontro tra Bruxelles e Roma sulla politica economica sembra già meno probabile di quando la coalizione ha assunto l'incarico, dopo che il governo ha smorzato i propri piani fiscali e abbandonato ogni discussione di uscita dall'euro.
L'amministrazione "potrebbe faticare per far approvare in parlamento, con una maggioranza risicata, la proposta della Lega di una flat tax di due livelli, al 15 e al 20%, che da sola costerebbe 50 milioni di euro", spiega Geoffroy Lenoir, responsabile European sovereign rates di Aviva Investors.
Inoltre, se approvata, la proposta del M5S, sul reddito di cittadinanza pari ad almeno 780 euro mensili per i disoccupati con età superiore a 18 anni e con un reddito inferiore alla soglia di povertà, costerebbe all'Italia decine di milioni di euro ogni anno e non sembra più essere una priorità.


Ben May, direttore di ricerca macroeconomica globale presso Oxford Economics, ritiene che il sistema di controlli e bilanciamenti politici assicurerà che la politica fiscale venga allentata di circa l'uno per cento del PIL e che il rapporto tra debito e PIL rimanga su di una traiettoria ribassista nel medio termine.
"Attualmente la probabilità che l'Italia lasci l'eurozona è pari al due per cento e sia il Paese che il resto dell'eurozona sono molto propensi a evitare questo scenario", aggiunge May.
Sia la Lega che il M5S intendevano nominare Paolo Savona, fervente critico del patto di stabilità e crescita e dell'euro, ministro delle finanze, una mossa che ha incontrato il veto del Presidente Sergio Mattarella. Il nuovo ministro delle finanze, Giovanni Tria, intende far restare il Paese nella moneta unica.
Lenoir indica i dati tratti dall'ultimo Standard Eurobarometer, un'indagine sull'opinione pubblica condotta dalla Commissione europea, che mostrano come, a marzo, il 61 per cento degli Italiani auspicasse di rimanere nell'euro (contro il 76 per cento degli Spagnoli)1.
Mentre gli euroscettici danno la colpa all'euro e sostengono che l'Italia godrebbe di una posizione molto migliore se avesse mantenuto la lira, "la scarsa performance dell'economia rispecchia in larga misura l'insuccesso del Paese di approvare le misure strutturali adottate da Madrid", sottolinea Lenoir.




Crisi migratoria

L'immigrazione è un altro potenziale argomento spinoso tra Italia e UE. Lega e MS5 vogliono una riforma del Trattato di Dublino che stabilisce che i migranti possano presentare domanda di asilo politico solo nel primo Paese UE di approdo. La coalizione sostiene che la vicinanza dell'Italia all'Africa settentrionale significa che il Paese sostiene il carico eccessivo della crisi migratoria.
È probabile che alcuni altri Stati membri appoggino la richiesta dell'Italia di riforma delle politiche migratorie dell'UE. I sondaggi indicano che l'immigrazione è diventata la prima preoccupazione degli elettori, in tutto il blocco. Il problema ha influenzato le elezioni in Francia, Germania, Austria, Italia e Ungheria e ha perfino minacciato di porre fine al cancellierato di Angela Merkel in Germania. Il nuovo governo sembra aver raggiunto alcuni dei suoi obbiettivi di riformare la politica migratoria di Bruxelles, durante il summit UE tenutosi a giugno.

Un governo di breve durata

Se è vero che la coalizione italiana potrà aver successo in tema di immigrazione, Lenoir cita varie ragioni per cui è improbabile che rimanga al potere a lungo.



"Lega e M5S si sono date aspra battaglia durante la campagna elettorale. Le lunghe discussioni prima di formare un governo sottolineano le ampie differenze tra le due fazioni", sostiene Lenoir. "Il nuovo premier, Giuseppe Conte, non ha mai ricoperto un incarico politico. Le sue nomine ministeriali mettono in luce le tensioni sull'euro all'interno della coalizione, dove l'euroscettico Savona è ora incaricato dei rapporti con Bruxelles, mentre altri ministri chiave intendono rimanere nella moneta unica".
Peter Ceretti, analista presso l'Economist Intelligence Unit, è convinto che il governo farebbe bene a resistere fino al 2020 e che elezioni improvvise sono già possibili nella prima metà dell'anno prossimo. "Oltre agli ostacoli fiscali, legali e a quelli posti dalla UE, i due partiti potrebbero dover fare fronte all'opposizione da parte del Presidente Mattarella", sostiene. "Sarebbe molto inconsueto che un presidente blocchi una legge ed è improbabile che il governo persegua una strategia di contrasto diretto con il presidente, come quando ha cercato di nominare Paolo Savona al ministero dell'economia.


Le tensioni tra il governo e Mattarella sul caso Savona dimostrano anche, tuttavia, che, se esasperate, il presidente potrebbe avvalersi di tutta la sua autorità per proteggere la costituzione".
Ceretti aggiunge: "M5S e Lega godono altresì di una stretta maggioranza al Senato (la camera alta del parlamento), pertanto le defezioni o un abbandono della disciplina, aspetti tipici della politica italiana, potrebbero facilmente portare alla paralisi". Ceretti è, tuttavia, convinto che il confronto con i partner europei o l'incapacità di onorare gli impegni sulle politiche potrebbe non danneggiare la popolarità sia della Lega che del M5S.
"Gli elettori italiani non si attendono che le promesse elettorali vengano pienamente mantenute ed entrambi i partiti potrebbero plausibilmente incolpare l'UE e l'architettura istituzionale del Paese qualora non riuscissero a rispettarle tutte", sostiene Ceretti.

In Spagna, il contesto rimane pressoché identico

È improbabile che il cambio di governo in Spagna, intanto, preoccupi l'UE o gli investitori, sostiene Julien Rolland, rates portfolio manager presso Aviva Investors.



"Tutti i principali partiti politici spagnoli, compresi i socialisti, sono a favore dell'euro, mentre Sánchez si è impegnato ad adottare un approccio conservativo nei confronti della politica economica. Anzi, il nuovo governo è impegnato a implementare il budget dell'amministrazione precedente", sostiene.
La posizione precaria in parlamento dei Socialisti blocca altresì variazioni di rilievo nelle politiche. Gestire la crisi catalana presenta con probabilità la prova più dura per le capacità di leadership di Sánchez, secondo Ángel Talavera, principale economista per l'eurozona presso Oxford Economics.
"Il governo catalano nominato di recente, con al timone il fervente sostenitore dell'indipendenza Quim Torra, sarà tentato di mettere alla prova la determinazione di Sánchez molto presto durante il suo premierato. Il modo in cui Sánchez risponderà a questa sfida determinerà in larga misura il suo futuro politico", osserva Talavera.
Rolland ritiene che siano probabili nuove elezioni il prossimo anno, dato l'impegno che Sánchez ha preso, quando ha assunto l'incarico, di indire nuove elezioni prima della fine della legislatura a luglio 2020.


Rolland è convinto che questa sarà una mossa positiva per i mercati. "Secondo i sondaggi correnti, una coalizione di centro-destra, composta da Ciudadanos e dal PP, entrambi fortemente a favore dell'euro, è il risultato più probabile. Tuttavia, una buona performance dei Socialisti, anche convinti sostenitori dell'euro, sarebbe comunque una buona notizia per gli investitori", sostiene Rolland.
Il compito di Sánchez, nel corso del prossimo anno, sarà quello di occupare il centro, dove per tradizione le elezioni spagnole si perdono e si vincono, portando allo stesso tempo avanti un'agenda sociale progressista che neutralizzi l'ala sinistra del partito di Podemos. Rivestirà inoltre un'importanza centrale qualche forma di trattativa aperta sul quadro territoriale del Paese, nell'ottica di stemperare (se non di risolvere) la crisi catalana.
"Per riuscirci, Sánchez avrà bisogno di superare le riserve che rimangono sulla sua leadership, all'interno del suo stesso partito, guadagnare il sostegno dei media (che hanno dimostrato di essere molto più a favore di Albert Rivera - il leader di Ciudadanos) e, in qualche modo, trovare un equilibrio nei suoi rapporti con Podemos e con i partiti economici e nazionalisti catalani che non allontani gli elettori spagnoli sostenitori dell'unità", commenta Talavera.




L'economia è il punto centrale

Nel quadro di un contesto in rapido miglioramento, il rischio politico in Spagna sembra ridotto, sebbene i rapporti tra Madrid e la Catalogna rimangano un potenziale punto caldo. In Italia, il ribaltamento dell'establishment politico sembra rappresentare meno un pericolo per l'UE, rispetto a quanto si potesse prevedere, perlomeno nel breve periodo.
In un'ottica di più lungo termine, esiste il rischio che se la performance economica dell'Italia non migliora, un numero sempre maggiore di elettori potrebbe mettere in discussione l'effettivo vantaggio, per il Paese, di rimanere all'interno dell'eurozona. L'elettorato potrebbe persino passare a partiti o politiche ancora più estremiste se questo fosse l'unico modo per opporsi allo status quo.


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