Ci salverà Adriano Olivetti
Può essere che una rivalutazione del capitalismo dal volto umano e sociale sia la strada per ridare un senso al tutto?
Ammetto di essere in difficoltà nel commentare l'interessante lavoro di Giulio Sapelli, "Oltre il capitalismo. Macchine, lavoro e proprietà ", edito da Guerini e Associati.
Lo sono per moltissimi motivi: conosco l'autore, caro amico di mio padre; conosco l'editore, caro amico di mio padre; vi si parla di Adriano Olivetti, che non conobbi, ma il cui nome e le cui gesta manageriali e culturali, accompagnarono molti momenti della mia infanzia, in quanto i miei genitori lavorarono e si conobbero in Olivetti. Per non dire di Paolo Volponi, anche lui citato, ospite dei discorsi e dei salotti della mia gioventù.
Basterebbe questo per sostenere che ogni parola di questo breve commento sia frutto di un gorgo emotivo e viziata da un evidente conflitto e motivo.

Eppure sento il bisogno di dire alcune cose su questo testo. Ne condivido alcuni aspetti, come la critica al fatto che siamo in un mondo dove la tecnologia piaccia o no stringe e riduce il campo d'azione della persona. Con influssi anche sul lavoro.
Sono reduce da un week end dove ho seguito i lavori di un interessantissimo convegno a Milano sull'Intelligenza artificiale e le sue implicazioni nel campo della proprietà industriale. Temi spesso sfuggenti, ma indicatori di quale potrebbe essere un futuro neanche troppo distante.
Fatico inoltre a delineare quali siano i mestieri che oggi uno studente di scuola media e di liceo, al termine del suo percorso formativo, potrà svolgere ma che oggi non esistono.
"Una nuova civiltà delle macchine appare all'orizzonte, una civiltà in cui lo 0,1% della popolazione possiederà le macchine, lo 0,9% le gestirà e il 99% sarà addetto al poco lavoro non automatizzato della grande impresa o giacerà nell'abisso della disoccupazione", recita il libro.
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