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30/01/2019

economia

Spostare il focus dal rendimento al rischio

Almeida Jr (MFS): gli investitori dovrebbero ricalibrare l'enfasi dei rispettivi portafogli spostandola dalla generazione di rendimenti sopra la media alla valutazione dei rischi

Con la fine del 2018, il mercato pullula sempre più di analisi che stilano un bilancio dell'anno trascorso e di previsioni sui rendimenti per quello a venire. Tuttavia, fare previsioni è un esercizio difficile, soprattutto quando si tenta di ipotizzare i rendimenti di mercato su un arco di 12 mesi.
Nella forma più semplice, i mercati di investimento costituiscono una piazza dove chi è alla ricerca e chi dispone di capitale può scambiare denaro oggi con la speranza, o la promessa, di ottenere la restituzione del capitale in futuro.
Pertanto, i prezzi degli attivi riflettono in ultima analisi i cash flow futuri. Quando questi ultimi non si manifestano come auspicato (oppure, al contrario, quando superano le aspettative), il meccanismo di sconto dei mercati dei capitali adegua di conseguenza i prezzi.
A questo punto la domanda sorge spontanea: cos'è che muove i cash flow?
Riteniamo che i fattori principali siano quattro: unità, prezzo, margine e utili.
Sul lungo periodo, riteniamo che i fondamentali determinino i cash flow, che a loro volta influiscono sui prezzi degli attivi.

Nell'attività quotidiana, tuttavia, l'orientamento a breve termine del mercato e l'eccessivo affidamento su informazioni che talvolta si rivelano irrilevanti possono tradursi in efficienze sul lungo periodo. Alla luce di ciò, prevedere efficacemente l'andamento dei mercati sul breve periodo è un esercizio frustrante nella migliore delle ipotesi, eppure è certo che i market strategist vi si diletteranno abbondantemente nelle prossime settimane.
Uscendo dalla crisi del 2008, le società hanno osservato un aumento dei margini netti riconducibile al calo dei costi di produzione. Eppure, a tre o quattro anni dall'inizio del ciclo economico, la crescita globale stava ancora facendo i conti con i postumi della crisi finanziaria. Mentre i margini apparivano insolitamente elevati, la crescita in termini unitari e il pricing power restavano modesti. Molte società hanno fatto ricorso al proprio bilancio per sostenere i livelli di crescita del free cash flow, e i mercati del credito sono stati ben lieti di concedere finanziamenti.
Con la fine del ciclo, le emissioni di obbligazioni e i coefficienti di leva finanziaria sono cresciuti e la qualità complessiva del mercato delle obbligazioni corporate ha subito un deterioramento.

Come evidenziato nel grafico, la percentuale di obbligazioni societarie con rating BBB nel Global Credit Index è quasi raddoppiata dalla crisi finanziaria globale.
In ogni caso, che le preoccupazioni sul credito si manifestino nel 2019 o molto più avanti, il rapporto di indebitamento resta la fonte di preoccupazione comune sulla nostra piattaforma di ricerca globale, giacché, a nostro giudizio, una società altamente indebitata ha meno controllo sul proprio destino.
Più a lungo termine, in termini di aspettative sui mercati dei capitali per i prossimi 10 anni, ipotizziamo una contrazione dei rendimenti sostanziale rispetto a quanto osservato nel decennio precedente. In generale, riteniamo che i mercati rallenteranno rispetto ai rendimenti sopra la media osservati negli ultimi trent'anni.
I nostri modelli di mercato sono legati ai fondamentali, l'unico aspetto davvero rilevante per i prezzi degli attivi nel lungo periodo: unita?, prezzo, margine e utili.
A nostro parere gli investitori dovrebbero ricalibrare l'enfasi dei rispettivi portafogli spostandola dalla generazione di rendimenti sopra la media alla valutazione dei rischi.


Giudizio e selettività dovrebbero diventare una priorità a questo punto del ciclo economico.

Robert M. Almeida Jr, Global Investment Strategist di MFS


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