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27/02/2019

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Bottillo (Natixis): attenzione al rischio geopolitico sui mercati

Investitori italiani più bravi nel limitare le perdite viste in altri Paesi nel 2018 perché hanno sviluppato maggiore conoscenza e più consapevolezza

L'economia globale è in rallentamento a causa di una serie di fattori come la guerra dei dazi tra USA e Cina e le incertezze per le elezioni del Parlamento Europeo, che potrebbero delineare nuovi equilibri. I mercati stanno già scontando tutto tranne una sorpresa: l'inflazione. Ne abbiamo parlato con Antonio Bottillo, Country Head di Natixis Investment Managers per l'Italia.

Gli ultimi dati macro sull'Eurozona mostrano una grossa frenata. Quali possono esser i motivi e quale il possibile outlook per il 2019?

Fondamentalmente tutto è legato alla situazione geopolitica. Questo è il vero elemento di preoccupazione che ha determinato il corso degli ultimi mesi, un rallentamento dell'economia globale, dell'Europa, in alcuni casi siamo addirittura in presenza di una recessione tecnica, come sta accadendo per l'Italia. L'elemento geopolitico influisce, è il motore di questa situazione e determinerà il passo di quella che è la crescita economica globale, Determinerà l'azione delle banche centrali, soprattutto della Federal Reserve, da cui abbiamo assistito a dichiarazioni che vanno in una certa direzione.

Determinerà la forza e il livello del dollaro e forse potrà arrivare a determinare il prezzo delle materie prime.
Questo è quanto sta accadendo e ha determinato la situazione attuale.
C'è da dire che in questo contesto c'è stata una risposta da parte di alcune autorità, in primis la Fed, con Powell che si è espresso in un determinato modo, Possiamo senza dubbio dire che a questo punto permane l'azione delle banche centrali affinchè ci sia una presenza e un aiuto nel caso in cui le economie dovessero rallentare veramente. Noi non crediamo che ci troveremo in un contesto di recessione globale. Pensiamo che tutto questo sia momentaneo e dovuto alla condizione geopolitica.
E' chiaro che il rituale politico prevede di spostare in avanti i problemi e quindi non ci aspettiamo in questo contesto soluzioni. La narrativa ultima parla di possibile raggiungimento di accordo tra le due potenze (NDR: USA e Cina). Non credo possa avvenire immediatamente all'inizio di marzo, ma se dovesse accadere, ben venga. Ma il rituale politico prevede qualcosa di diverso, anche se riteniamo che un accordo prima o poi si troverà, In quel caso, occorrerà fare attenzione poiché in quell'occasione la sorpresa potrebbe venire originata dalla soluzione stessa.

Mi riferisco ad una cosa, la sorpresa, che non è ancora stata scontata dal mercato.

E quale potrebbe essere?

L'unica cosa nel mercato oggi che se dovesse accadere comporterà una modifica alle tecniche di costruzione del portafoglio e di asset allocation - quindi per nulla scontata - è l'arrivo dell'inflazione. Questo metterebbe ogni cosa in una situazione diversa dall'attuale.

Qual è il sentiment del mercato?

Oggi, con le problematiche in atto, noto come ci sia del pessimismo. Credo che diversi investitori non abbiamo potuto, considerando proprio il pessimismo, approfittare delle opportunità di mercato che si sono presentate dall'inizio dell'anno,
Il mercato è sempre alla ricerca di armonie, motivazioni e di un perchè si va in una certa direzione. Mi piace fare un riferimento al 2018, anche per tentare di dare maggiore concretezza e praticità piuttosto che riferirsi sempre a quelle che sono le condizioni macroeconomiche. Ci sono anche altre motivazioni.
L'inizio del 2018 vedeva investitori e mercato proiettati nella convinzione di una crescita sincronizzata fra le economie sviluppate e quelle emergenti.


Questo non è accaduto per due motivazioni molto semplici: la prima risiedeva nei tassi di interessi americani più alti e nella forza del dollaro. Due condizioni che non possono essere favorevoli ai mercati in via di sviluppo dei Paesi Emergenti.
Nel corso dell'anno si sono poi aggiunte alcune situazioni: la prima è il rischio geopolitico di cui abbiamo parlato; l'altra è un fattore più tecnico, ed è l'utilizzo massiccio all'interno dei portafogli delle cosiddette strategie multi-asset che spesso e volentieri contenevano una pronunciata esposizione al mercato azionario, e quindi questo faceva sì che l'obiettivo di diversificazione che si attribuiva a queste strategie non fosse pienamente centrato.
E' chiaro che da questo punto di vista le cose sono andate in un certo modo, ma non tutti si sono comportati alla stessa maniera. Ci sono realtà e situazioni che hanno visto gli investitori italiani ridurre nel corso del tempo questo peso sull'azionario, e di avvantaggiarsi attraverso l'utilizzo di strategie innovative. Si tratta di strategie ormai ben conosciute, con una narrativa in quest'ambito molto avanzata, Sono le cosiddette strategie liquide, come global macro, aggregate ecc.


Quindi, da questo punto di vista qualcosa l'investitore è riuscito a fare.
Oggi, ripeto, siamo nella condizione in cui all'inizio dell'anno, a sentire le previsioni avremmo dovuto assistere ad una condizione ancora calante, mentre in realtà accade il contrario.

Cosa potrebbe far cambiare tutto ciò?

Come detto, l'elemento sorpresa oggi consiste nell'aspettativa di inflazione, che non è scontata dal mercato e potrebbe essere innescata da una soluzione della disputa tra Cina e USA. Questo perchè le banche centrali sono ancora consenzienti.
E perchè in Europa andiamo incontro ad un importantissimo appuntamento elettorale, dove i giochi non sono ancora fatti, ma in cui si prende atto di una situazione di disagio manifestata e alla quale la politica si è prestata. Leggasi Italia o Francia, con le difficoltà di Macron di questo periodo, oppure altri Paesi, come la Spagna,
C'è un contesto, un tessuto che favorirebbe la revisione di alcuni aspetti, con un ripensamento forte e anche dei confini con cui è stata disegnata la Comunità Europea.


Però la politica non mi sembra che ad oggi abbia manifestato un percorso che può essere identificato - non dico interpretato, ma forse ragionato - e messo a disposizione dei cittadini europei. Questo non è ancora accaduto e c'è la tensione massima. Potrebbero accadere delle sorprese, anche se sovente la politica cerca di non sorprendere troppo.

Un invito alla prudenza.

Nonostante tutto, la lettura del mercato è quella presentata: prudenza sì, ricerca di diversificazione che abbia un senso, possa esser sostenibile e che possa esser raggiunta. Attenzione alle strategie multi-asset, che aiutano poiché sollevano di una parte del compito ma poi occorrerebbe andare più all'interno e conoscerne la composizione, e vedere se si sposa e ha in senso messa insieme agli altri elementi del portafoglio.

Avete appena pubblicato il Global Portfolio Barometer 2018. Quali sono le principali evidenze per l'Italia?

Il Barometro ci dà una rappresentazione concreta e reale, poiché si tratta di un'analisi che effettuiamo sulla base di portafogli che vengono a noi trasmessi, e quindi oggettiva.


E la facciamo in diversi Paesi.
L'elemento che emerge è che l'investitore italiano è riuscito, rispetto a quello di altri Paesi, ad evitare parte delle vendite massicce, e quindi subire l'andamento del mercato particolarmente feroce - mi si lasci passare questo termine - nell'ultimo trimestre del 2018. Basti pensare che le vendite del mercato azionario hanno raggiunto come flussi, quelli registrati nel 2008. Diciamo che sui mercati c'era paura.
Oggi viviamo una situazione diversa, nel senso che ci sono ancora molte consistenze non impiegate. Sono lì, in cerca del tempo ottimale, del momento magico per entrare ma, in qualche caso, le opportunità si sono già perse.
Il Barometro ha evidenziato una certa capacità degli investitori italiani nel corso dell'anno di uscire da alcune posizioni riferite alle strategie multi-asset, utilizzando qualcosa d'altro, come alternativi e liquidi, che hanno manifestato una maggiore capacità di diversificazione. Quindi il portafoglio è riuscito a limitare le perdite viste in altri Paesi.
Bisogna anche dire da questo punto di vista che negli ultimi anni l'investitore italiano ha sempre mantenuto una componente azionaria pressochè invariata: parliamo (riferito ad un portafoglio moderato, medio, tipico) di una esposizione che va da un 18 a un 23%.


Questa è sicuramente limitata rispetto ad altri Paesi. Che sia un bene o un male, prendiamo atto che in questo caso ha funzionato.
L'elemento che emerge con forza è che bisogna considerare che comunque gli investitori italiani, dalle nostre analisi, hanno sviluppato maggiore conoscenza, maggiore consapevolezza, sono più le domande che pongono. Io sono solito dire che in questi casi è la strada giusta.
Ipotizzo addirittura in futuro una condizione che vede l'investitore manifestare meglio le proprie esigenze, il proprio diritto ad esser informato in modo molto trasparente. Non è una problematica solo di costi: è stato molto riduttivo il pensiero fin qui sviluppato e la narrativa che ne è scaturita. Mi riferisco ovviamente alla MiFID 2 e alla sua regolamentazione. Ci sono tante altre cose di cui bisognerebbe parlare.
E' chiaro che i costi sono un argomento di difesa di quelli che partecipano, ma noi siamo soliti pensare all'investitore. Questo avrà la possibilità sempre maggiore di chiedere, di manifestare le proprie necessità.
Un po' quello che è già accaduto nei consumi, più pronunciatamente nel settore alimentare ma non solo: il consumatore è molto più addentro e consapevole, e comprende che se deve spendere qualcosa in più per tutelarsi ha un senso.


Io credo che questo sarà un atteggiamento che arriverà anche nel mondo degli investimenti. Ci troveremo in una situazione in cui l'industria dovrà ascoltare, imparare ad ascoltare, e trovare delle soluzioni, e non il contrario.


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