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10/04/2019

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Così i manager italiani investono sulla formazione continua

Secondo l'Osservatorio Managerial Learning di ASFOR e CFMT, nel 2108 sono state dedicate alla formazione in media 6,4 giornate, il 20% in più rispetto all'anno precedente

"Cresce sempre di più la voglia di formazione manageriale, ormai considerata indispensabile, soprattutto dai vertici aziendali e dei manager, in un contesto lavorativo complesso in rapido cambiamento e con forti processi di innovazione organizzativa e digitale che impone l'aggiornamento continuo delle competenze per adeguarle ai processi e alla nuova vision strategica". Questo afferma Marco Vergeat, coordinatore scientifico dell'Osservatorio Managerial Learning ASFOR-CFMT, presidente ASFOR (nella foto).
È quanto emerge dalla ricerca condotta tra fine 2018 e inizio 2019 dalla seconda edizione dell'Osservatorio Managerial Learning di ASFOR - Associazione italiana per la Formazione Manageriale e CFMT - Centro di Formazione Management del Terziario - che fotografa il tempo e l'impegno dedicato dai dirigenti delle aziende italiane all'acquisizione di nuove esperienze per affrontare le sfide lavorative del futuro.
L'indagine, che fotografa il sentiment, il tempo e l'impegno dedicati alla formazione manageriale e all'aggiornamento professionale, ha coinvolto un campione di 850 fra amministratori delegati, alti manager e dirigenti d'azienda di tutta Italia, che rivestono ruoli chiave con diversi livelli di responsabilità, e alti potenziali inseriti in percorsi di Talent Development, i quali hanno risposto ad un articolato questionario.


Per i manager lo studio e il percorso di apprendimento non finiscono a carriere avviata: nel corso dell'ultimo anno sono state dedicate alla formazione in media 6,4 giornate, il 20% in più rispetto al 2017. Un dato che aumenta nel caso di Amministratori Delegati e Direttori Generali (6,9 giornate) e manager under 40 (7 giornate), mentre diminuisce leggermente nella fascia di età 49-56 anni con solo 6,1 giornate in aula. Più in generale, il tempo destinato al perfezionamento delle proprie capacità ha segnato il +44,46% negli ultimi due anni e si prevede che possa superare il 62% entro il 2022.
Se Strategia, Change Management, Digital Mindset, Leadership e Soft Skills sono i contenuti sui cui è stata e sarà maggiore la richiesta di aggiornamento, si sottolinea in ogni caso un bisogno formativo continuo per ispirare, stimolare e migliorare le performance a livello tecnico e umano, in una logica di apprendimento individuale che si deve innestare nelle organizzazioni e nei team.
Nonostante molte aziende italiane siano ancora spesso diffidenti rispetto all'idea di investire in programmi formativi "tailor made" di crescita professionale a vantaggio dei propri dipendenti, è sempre più evidente la necessità di rafforzare questi percorsi per garantire parametri di competitività a livello globale, coinvolgendo prioritariamente chi ha potere decisionale e quelle fasce finora meno coinvolte e presenti.


Il tema della responsabilità è infatti una delle questioni centrali: a chi spetta decidere come e quando avviare un progetto di formazione?
Se Direttori Generali e Amministratori Delegati sono d'accordo nell'affermare che dovrebbe essere inserito direttamente nei piani di sviluppo aziendali, non tutti la pensano allo stesso modo: esistono ancora delle persone che aspettano che venga proposto un percorso di crescita. L'iniziativa nel promuovere percorsi formativi è più elevata in chi ha avuto un'esperienza internazionale e in chi ha già rivestito un ruolo manageriale.
Per diventare una risorsa di crescita a vantaggio di tutta l'impresa, è necessario pertanto che tutti i dirigenti si muovano in questa "dimensione individuale", e che anche i quadri e gli under 40, dei quali attualmente solo il 53,2% ne è convinto siano più partecipi nella definizione dei percorsi di crescita e sviluppo.
"Rileviamo una maggiore richiesta di formazione vicina ai problemi reali", dichiara Pietro Luigi Giacomon, Presidente di CFMT. "Da un lato, sta cambiando la cultura aziendale: l'endorsement verso un aggiornamento professionale arriva sempre più spesso dall'alto, con il management che si fa promotore dell'investimento in formazione.


Dall'altro, il singolo dirigente deve comunque diventare il motore del proprio approfondimento, trovando stimoli nella contaminazione culturale che ne può derivare e nella possibilità di misurarsi con problemi e progetti reali da risolvere o realizzare".
Scambi e confronti con colleghi, clienti o consulenti, risoluzione di problemi complessi, progetti di innovazione, oltre a workshop e corsi interaziendali, sono ritenute dagli intervistati le modalità di approfondimento più significative. Poiché la formazione più tradizionale è considerata almeno in parte insufficiente per far fronte ai cambiamenti e alle sfide competitive, l'opportunità che la formazione manageriale deve saper cogliere è quella di integrarsi ed integrare altre forme di apprendimento, come coaching e mentoring, master organizzati dall'azienda presso enti di formazione specifici o business school con una forte dimensione internazionale, corsi interaziendali di breve durata e focus group su temi specifici.
Secondo il 16,7% dei rispondenti, invece, il digital learning non integrato con altri percorsi appare una modalità di apprendimento poco efficace e adeguata alla necessità di acquisire competenze manageriali solide e difficilmente praticabile alla fine di una lunga giornata di ufficio.


L'età dei destinatari non è un fattore di differenziazione né sul suo utilizzo, né sul giudizio di efficacia: si rileva, però, che il 52,7% ritiene il digital learning efficace se integrato con un percorso in aula o "on the job" che permetta una condivisione diretta tra partecipanti e docenti e dia anche la possibilità di ampliare e rafforzare il proprio network personale e professionale.


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