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02/10/2019

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Brexit: scarsi gli effetti sull'export alimentare Made in Italy

Noad (British Chamber of Commerce for Italy): anche in caso di no-deal, a marzo il Parlamento UK ha deciso che non applicherà dazi sull'87% dei beni importati

Manca ormai poco più di un mese alla data del 31 ottobre (curiosamente Halloween), che rappresenta il momento in cui la Gran Bretagna dovrebbe lasciare l'Unione Europea come attuazione del referendum del 23 giugno 2016. Ma siamo ancora in alto mare.
L'UE ha chiesto di presentare entro il 30 settembre un nuovo piano a Boris Johnson, che deve fronteggiare anche una sentenza di un tribunale scozzese che di fatto lo obbligherebbe a chiedere una proroga alla UE in mancanza di un accordo. Juncker si dice ancora possibilista. E ora la Corte Suprema britannica ha dichiarato illegittima la chiusura del Parlamento, riordinandone l'apertura. 
Per quanto complicato possa sembrare, esiste ancora comunque la possibilità che si vada incontro ad un no-deal, cioè l'uscita unilaterale e non regolata della Gran Bretagna dall'Unione Europea, paventata peraltro dalla presidenza di turno della UE, la Finlandia.
Cosa potrebbe accadere in questo caso? Ne abbiamo parlato con Tom Noad, presidente della British Chamber of Commerce for Italy.

Lo scenario no-deal è sempre più vicino.

Quali sarebbero i problemi ad immediata scadenza e quali quelli al medio-lunga.

I problemi più immediati della no-deal Brexit saranno causati dall'improvvisa uscita del Regno Unito dal mercato unico e dall'unione doganale. Mentre i diritti di cittadini Europei residenti nel Regno Unito e di cittadini Britannici residenti in Italia sono protetti da accordi (come il Settled Status in UK), non esistono simili salvaguardie per le imprese che commerciano tra le due parti.
Nel caso di un no-deal, queste aziende avvertiranno disagi istantanei legati ad oneri doganali, tasse, dazi e possibili restrizioni di movimento nel caso di certe classi di beni. In più i beni prodotti nel Regno Unito perderebbero la certificazione di provenienza EU. Tutti questi fattori porterebbero a dei ritardi significativi nelle consegne dei prodotti.
In vista di possibili scarsità di alcuni beni chiave, nei mesi passati il governo britannico ha cercato di arginare i possibili contraccolpi commerciali ma, come ammesso nel report dell'operazione "Yellowhammer", gli effetti di un no-deal potrebbero comportare ritardi in dogana di fino a tre giorni su entrambe le sponde della Manica.

Ciò avrebbe pesanti ripercussioni su attività che dipendono dalla pronta consegna dei loro prodotti.
Il governo Britannico ha infatti attuato un piano di accumulo di medicinali e prodotti essenziali, avvisando i suoi cittadini di possibili scarsità di beni alimentari freschi.
Gli autori del report hanno stimato che queste problematiche nel commercio UK-EU potrebbero durare mesi.
Una ulteriore difficoltà potrebbe ricadere su quelle aziende che forniscono servizi in Europa sotto una licenza britannica. Nel caso di un'uscita improvvisa del Regno Unito dal mercato unico queste imprese potrebbero automaticamente perdere il diritto di continuare a svolgere la loro attività.
Per quanto riguarda gli effetti a medio e lungo termine di un no-deal Brexit, essi sono più difficili da predire in quanto dipenderanno sul lavoro fatto per alleviare le problematiche che compariranno nell'immediatezza dell'uscita del Regno Unito dal mercato unico.

L'Italia vanta una bilancia commerciale attiva nei confronti di UK, peraltro in netta crescita. Globalmente, quanto potrebbe pesare la Brexit nei prossimi anni?

È certamente vero che nei confronti dell'Italia il Regno Unito ha un deficit commerciale tra i due e i cinque miliardi di sterline.


L'export italiano di beni e servizi al Regno Unito si è di molto incrementati nell'ultimo decennio, arrivando ad un valore di quasi 25 miliardi di sterline nel 2018.
Circa il 35% del commercio di merci tra UK ed Italia in entrambe le direzioni, è composto da veicoli, macchinari ed apparecchi meccanici ed elettrici. Un ulteriore 6% è formato da prodotti farmaceutici, anch'essi muovendosi in entrambe le direzioni.
In termini di servizi, le industrie più significanti sono sicuramente il trasporto ed il travel, che insieme costituiscono il 50% del totale valore di tutti i servizi forniti tra le due nazioni.
I servizi finanziari sono invece quasi il 20% del totale dei servizi britannici esportati in Italia.
Dunque gli effetti di Brexit sulla futura relazione commerciale tra Italia e Regno Unito dipenderanno in gran parte dai termini e dal tempismo col quale si riusciranno a formare accordi mirati a ristabilire in qualche modo i benefici persi a causa dell'uscita del mercato unico e dell'unione doganale per queste industrie chiave.

Quali saranno i settori del Made in Italy più interessati?

Il Made In Italy comprende molti settori: l'alimentare, design, moda, ingegneria, ed ogni comparto potrebbe essere colpito dalla Brexit in maniera diversa.


Anche perché ogni previsione dipenderà dal "tipo" di Brexit che verrà attuato: in altre parole se i negoziatori riusciranno a trovare un accordo di uscita accettabile ad entrambi le parti.
Dal punto di vista della supply side, siccome i prodotti Made In Italy raramente contengono elementi provenienti dal Regno Unito, i disagi a questo settore dovrebbero essere trascurabili.
Dall'altro lato, i produttori che effettuano una grande percentuale di vendite nel Regno Unito noteranno disagi significativi nelle loro attività. Questo potrebbero essere causati da uno svariato numero di fattori, inclusa una caduta nel valore della sterlina contro l'euro, un incremento nei costi di vendita e ritardi nel processo di export (cruciale per il settore "fast-fashion" e generi alimentari freschi).
Sul fronte positivo, a marzo di quest'anno, precedentemente alla prima data stabilita per la Brexit, il governo britannico ha stabilito che non applicherà dazi sull'87% dei beni importati dal Regno Unito. Questo include anche la maggior parte degli alimentari associati con il brand "Made in Italy".




Qualcuno sostiene che tornando alle regole del WTO, sarebbe possibile per l'Italia fare un qualche accordo bilaterale con UK.

Quando il Regno Unito uscirà dall'Unione Europea, ipotizzando uno scenario no-deal, le regole dell'Organizzazione Mondiale del Commercio saranno applicate alle relazioni commerciali tra UK e le restanti 27 nazioni membri, tra cui è inclusa l'Italia.
A causa della natura dell'Unione Doganale Europea, della quale l'Italia continuerà a far parte, nessun Paese membro può negoziare accordi commerciali indipendenti con nazioni non-membri. Dunque, il Regno Unito e l'Italia non potranno gestire la propria relazione commerciale autonomamente, ma dovranno sottostare agli accordi approvati tra UK e UE, e ancor prima alle regole WTO.

A livello finanziario, la Borsa italiana è posseduta dalla London Stock Exchange, che potrebbe esser a sua volta ceduta ad una società cinese. Che cosa potrebbe comportare?

Credo che l'offerta della borsa di Hong Kong per l'acquisizione della London Stock Exchange sia ormai stata rifiutata.


Detto ciò, alcuni mesi fa, la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB) ha pubblicato un'analisi nella quale si dichiarava che la London Stock Exchange avrebbe continuato a rispettare i requisiti di legge per possedere la Borsa Italiana, e che quindi la Brexit non porterebbe necessariamente ad un cambiamento nella holding della LSE.
Chiaramente, se ci sarà un'acquisizione della London Stock Exchange allora l'acquirente dovrà dimostrare di poter soddisfare i requisiti necessari per possedere anche la Borsa Italiana.  


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