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02/10/2019

economia

Segnali inviati dagli investitori azionari e ignorati da quelli obbligazionari

Almeida (MFS): i mercati inviano gli stessi segnali apparsi più di un anno prima del crollo di Lehman Brothers. Occorre smettere di concentrarsi sulla bassa inflazione

I mercati finanziari sottovalutano tutte le informazioni disponibili. I prezzi degli attivi vengono negoziati sulla base del tiro alla fune tra investitori, con punti di vista diversi sui cash flow futuri degli attivi sottostanti. In parole semplici, il mercato è una visione aggregata delle aspettative degli investitori sui cash flow futuri e, di conseguenza, sul rischio. È un motore di segnalazione del rischio.
Nel luglio 2007 il mercato del credito strutturato (ad esempio, quello delle "collateralized debt obligations") ha iniziato a segnalare un rischio di cash flow poiché i prezzi hanno cominciato a scontare probabilità di default significative. Allo stesso tempo anche il mercato più ampio del credito scontava difficoltà a livello di cash flow e, in ultima analisi, il rischio di fallimento. Tuttavia, in tale periodo, gli investitori azionari hanno ignorato un importante segnale proveniente dal mercato obbligazionario fino a dopo il dissesto di Lehman Brothers nel settembre 2008.
È possibile che negli ultimi anni si sia assistito al fenomeno opposto? Cioè, è possibile che il mercato obbligazionario non si sia accorto dei segnali deflazionistici provenienti dal mercato azionario? Andiamo a vedere.


La sovraperformance dei titoli growth rispetto a quelli value è stata analizzata più e più volte negli ultimi anni. Per gli investitori growth, tale sovraperformance è legata alla capacità delle società tecnologiche di generare utili superiori in futuro. Per contro, gli investitori value la interpretano più come un fenomeno di trend following, come la bolla tecnologica, e si attendono una "mean reversion" (ossia un ritorno verso la media) dove i titoli value torneranno ad essere vincenti. Tuttavia, vorrei proporre una prospettiva diversa.
È possibile che questa sovraperformance abbia segnalato tassi di interesse più bassi (se non nulli) a livello globale? Forse gli investitori obbligazionari, proprio come quelli azionari prima della crisi finanziaria globale, hanno ignorato il segnale a loro rischio e pericolo.
Torniamo ai nostri manuali di finanza. In parole semplici, il valore di una società coincide con il suo "steady state" o stato stazionario (ossia il valore totale di immobili, impianti, attrezzature e simili) maggiorato dei cash flow scontati.

In gergo obbligazionario, le azioni sono attivi a lunghissima "duration". Più specificamente, le società growth sono gli attivi a duration più lunga in quanto solitamente reinvestono i cash flow nell'impresa piuttosto che restituirli agli azionisti nel tempo; per contro, le società value, più mature e cicliche, restituiscono capitale agli azionisti con frequenza più regolare tramite dividendi e riacquisti azionari. Di conseguenza, i titoli growth hanno una "duration" superiore rispetto a quelli value.
Malgrado gli stimoli senza precedenti, l'inflazione rimane contenuta, lasciando perplessi le banche centrali e il mercato obbligazionario. Gli investitori obbligazionari dovrebbero forse smettere di concentrarsi sul sintomo, ovvero l'inflazione contenuta, e chiedersi ciò che sta succedendo a livello di settori? Così facendo, si renderebbero forse conto di come la tecnologia abbia aumentato l'offerta di beni e servizi disponibili alla vendita, creato trasparenza dei prezzi e migliorato la consapevolezza sulla qualità dei prodotti. La combinazione di questi fattori ha scatenato guerre dei prezzi in molteplici settori a livello globale, alimentando la disinflazione.


Ecco perché, a mio avviso, i tassi di interesse potrebbero scendere ulteriormente.

Robert M. Almeida, Portfolio Manager e Global Investment Strategist di MFS


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