La guerra sul greggio non aiuta i mercati
Flax (Moneyfarm): il prezzo inferiore del barile è una buona notizia per molti, ma l'effetto di questo beneficio sarà però parzialmente vanificato da una domanda che resta congelata, almeno per le prossime settimane
Con il mondo e i mercati concentrati sul coronavirus, neppure i produttori di petrolio sono riusciti a trovare un accordo. Venerdì si sono interrotti i negoziati tra l'Opec e la Russia sul taglio della produzione. L'Arabia Saudita ha risposto tagliando il costo del barile, muovendo la prima mossa di quella che si configura come una guerra dei prezzi. Il prezzo del greggio è caduto del 25%-30%, aggiungendo un nuovo motivo di preoccupazione per i mercati.
La guerra dei prezzi è raramente una buona idea. I Sauditi stanno ripercorrendo una strategia che hanno tentato in passato con scarso successo. L'idea di fondo è spingere fuori dal mercato i produttori che hanno difficoltà ad abbassare i costi (specialmente gli Stati Uniti). L'ultima volta che ci avevano provato il sistema del credito aveva contribuito a tenere i produttori a galla. Probabilmente la convinzione è che questa volta sarà diverso. Da un punto di vista strategico, la mossa potrebbe anche essere letta come un tentativo aggressivo per convincere tutti i produttori - inclusa la Russia - a tagliare l'offerta.
Ovviamente in una condizione di mercato straordinaria, come quella in cui ci troviamo, l'effetto di questo tipo di notizie è molto maggiore del solito. Il mercato del petrolio sta vivendo sia uno shock della domanda sia dell'offerta (con l'aumento tattico della produzione saudita) e le conseguenze sul prezzo sono quelle che vediamo in questi giorni. Si tratta di un taglio che ha delle conseguenze importanti sull'economia. Il petrolio rappresenta per molti settori una voce di costo rilevante o una fonte notevole di ricavi. Quando il prezzo si muove così tanto, si verifica un impatto che può essere positivo o negativo a seconda del comparto, rimescolando le carte e creando ulteriore incertezza.
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