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07/10/2020

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Massimo Canovi (TMF): fare business in Italia è una scommessa positiva

Il nostro Paese è una delle principali economie europee, ma rimane abbastanza complesso da un punto di vista legato al fare impresa. Ma non mancano le eccellenze

L'Italia è la 36esima giurisdizione più complessa al mondo per la costituzione e la gestione di un'impresa, e la 16esima in Europa, secondo il Global Business Complexity Index (GBCI) 2020, il rapporto annuale elaborato da TMF Group. Ne abbiamo parlato con Massimo Canovi, Direttore Generale di TMF Italia.
Quali criteri analizza la ricerca internazionale?
Il Global Business Complexity Index, è un rapporto annuale redatto da TMF Group - azienda multinazionale che eroga servizi professionali che spaziano dal settore delle Risorse Umane, alla consulenza fiscale e legale, al Wealth Management - e stilato sulla base di oltre 250 parametri, i quali possono essere raggruppati in tre macroaeree relative a:

Massimo Canovi (TMF): fare business in Italia è una scommessa positiva

1) Contabilità e fiscalità;
2) Sistema regolatorio e relative sanzioni;
3) Risorse Umane e remunerazione relativa
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Le domande poste ai professionisti TMF che operano in 77 giurisdizioni spaziano, per esempio, dal numero di entità presso le quali bisogna registrare un'impresa in una determinata nazione, alle procedure e ai tempi necessari per aprire un conto bancario presso un istituto di credito in un Paese, dalla possibilità di pagare le tasse da un conto corrente straniero, alle tempistiche relative al licenziamento di un impiegato caratterizzato da una bassa resa, all'uso della tecnologia come mezzo per spingere la produttività di un Paese. Quello che occorre sottolineare è che il report si basa su parametri oggettivi, e i quesiti non includono possibili percezioni soggettive e di conseguenza in grado di alterare la classifica stessa.
Quali sono a livello globale i trend emersi?

Seguici: 

A livello globale i trend emersi annoverano l'accelerazione della crescita della tecnologia e l'attenzione ad una generale conformità tra le diverse giurisdizioni. Questo fattore può essere considerato come risposta al fatto che singole giurisdizioni hanno modi differenti di operare e che possono a loro volta generare confusione oltre a rappresentare una voce di spesa importante per le aziende che decidono di investire all'estero.
In generale, il report evidenzia che una prospettiva globale, l'allineamento delle leggi e dei regolamenti internazionali e la crescente diffusione della tecnologia, hanno dato origine ad una maggiore sinergia nel business internazionale. Nel complesso, questi fattori si sono combinati per rendere le giurisdizioni meno complicate per le multinazionali. La pandemia dovuta al COVID-19 dovrebbe essere vista come un fattore di rallentamento sostanziale della crescita economica, in particolare con la chiusura delle frontiere internazionali. Gli effetti dureranno per anni e i relativi effetti negativi potranno essere potenziati o attenuati a seconda delle misure adottate dalle singole giurisdizioni.

Nella classifica l'Italia non è messa proprio bene, sia a livello mondiale sia europeo. Quali sono i dati rilevati?
Il posizionamento dell'Italia all'interno del ranking globale, ad una prima visione, può sembrare non ottimale. A ben vedere, però, su 77 Paesi presenti nella classifica, il nostro è in 36esima posizione, quindi a metà strada e solo di poche posizioni sotto Paesi considerati tradizionalmente virtuosi, come Germania, Austria, Finlandia.
A livello europeo, invece è classificato in 16esima posizione, ma figura in pole position nel blocco degli stati dell'Europa Meridionale, Francia inclusa. Certamente, la strada perché l'Italia sia considerata una nazione dove è generalmente facile fare impresa, come risultano essere Irlanda, Danimarca o i Paesi Bassi, è ancora lunga.
Quali sono i fattori più penalizzanti e quelli su cui intervenire?

Sicuramente ciò che incide maggiormente sul nostro Paese e sulla complessità di fare impresa è, come riportato in altre occasioni, il peso della burocrazia, sommato alla lunghezza dei procedimenti amministrativi richiesti anche per le operazioni più semplici. Se pensiamo che se solo per aprire un semplice conto corrente dall'estero in Italia sono necessari circa due-tre mesi, rispetto ad una sola settimana richiesta nella Repubblica Ceca o ad un mese come accade in Irlanda o in Regno Unito, ci rendiamo conto di quanto bisogna lavorare in questa direzione.
Un altro parametro riguarda la lunghezza dei tempi per poter terminare un rapporto di lavoro con un dipendente scarsamente produttivo. In Italia occorrono almeno 24 settimane, mentre la maggior parte dei Paesi europei richiedono solo tre o quattro settimane. Insomma, è necessario cercare di snellire e semplificare le regole attualmente in essere.

Fare business in Italia è una sfida, un atto di eroismo o cosa altro? Ci sono speranze per cambiamenti futuri?
Fare business in Italia è sicuramente una scommessa, alla quale mi sento di dare una connotazione positiva. Il nostro Paese è infatti una delle principali economie europee, ma rimane abbastanza complesso da un punto di vista legato al business. Detto questo, l'Italia è anche un luogo estremamente gratificante per le multinazionali che cercano di espandersi a livello internazionale.
Il Paese vanta una forza lavoro pragmatica e innovativa, il che significa che mentre la burocrazia può essere una sfida in alcune aree, ci sono ancora molte ragioni per investire. Pensiamo per esempio alla creatività e alla flessibilità che caratterizzano il nostro approccio, oltre alla preparazione, generalmente molto solida, detenuta dai nostri professionisti o a come abbiamo dato dimostrazione di serietà e organizzazione durante e a seguito dell'emergenza legata alla pandemia.

La speranza per i cambiamenti futuri è anche legata alla volontà delle giovani generazioni di contribuire a rendere l'Italia un Paese sempre più attraente, nella speranza che il divario fra Nord e Sud possa ridursi sempre di più.



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