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11/11/2020

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Gli effetti del coronavirus sull'agenda delle politiche green

 

Stephanie Kelly (Aberdeen Standard Inv.): abbiamo già visto un impatto positivo dell'emergenza su alcune problematiche ambientali. Ma i Paesi si muovono con azioni e priorità diverse tra loro

All'inizio dell'anno, abbiamo visto il profondo (e positivo) impatto della pandemia da COVID-19 sulle emissioni di gas serra, con la chiusura di intere economie e l'interruzione dei viaggi. Esiste la speranza che questo periodo sia di ispirazione per un futuro più sostenibile e orientato a preservare l'ambiente. La politica governativa sarà un elemento cruciale per determinare l'impatto di questa crisi sull'agenda verde ma nel mentre le azioni e i messaggi non sono eterogenei. Comprendere quali Paesi sono più attivi sul fronte del cambiamento climatico e quali invece sono rimasti indietro può aiutare gli investitori a valutare i rischi e le opportunità.

Gli effetti del coronavirus sull'agenda delle politiche green

Alcuni Paesi vanno avanti, nonostante tutto
L'Europa si distingue per il suo impegno concreto sul fronte del clima. I suoi obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2030 sono più rigidi rispetto al resto del mondo e non è emersa l'esigenza di allentarli a fronte della crisi. Di fatto, l'agenda verde è stata stimolata dal requisito in base a cui almeno il 30% del Recovery Fund dell'UE debba essere funzionale agli obiettivi di protezione del clima e di riduzione delle emissioni.
Inoltre, alcuni singoli Paesi stanno potenziando i loro impegni green, con stimoli fiscali a livello locale. In Germania, dei 130 miliardi di euro del pacchetto di stimolo annunciato, 50 miliardi sono dedicati alla riduzione delle emissioni e a progetti di ricerca e sviluppo nei settori a basso impatto di carbonio come i veicoli elettrici e l'idrogeno. In Francia, il piano di recupero di 100 miliardi di euro investe 20 miliardi nella lotta al cambiamento climatico, compreso l'uso delle biciclette elettriche e la ristrutturazione degli edifici datati.

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Altri invece restano indietro
In questo scenario si delinea chiaramente l'assenza del Regno Unito. Il Paese aveva fatto importanti passi avanti nel migliorare gli esiti ambientali nell'ultimo decennio, in parte grazie alla partecipazione all'UE che aveva incentivato la riduzione delle emissioni. La sfida del governo britannico sarà quella di mantenere lo slancio nella riduzione delle emissioni al di fuori delle limitazioni poste dalla regolamentazione europea, ivi incluso assicurare che l'accelerazione prevista nella spesa pubblica sia coerente con gli obiettivi ambientali a lungo termine.
Da questo punto di vista, è dunque preoccupante che il cambiamento climatico sia stato temporaneamente accantonato nei dibattiti politici. Per esempio, il pacchetto di stimolo fiscale del governo britannico non include una significativa componente dedicata al clima, a differenza degli altri Paesi europei.

Anche l'Australia rischia di perdere le opportunità che deriverebbero da una virata più decisa verso la crescita verde. Il Paese è rimasto indietro in termini d'impegno per il cambiamento climatico da quando il governo conservatore di coalizione è salito al potere nel 2013, ed è ora intrappolato tra il passato di un'economia trainata dai combustibili fossili e un futuro orientato all'economia rinnovabile. Ci sono pochi segnali del fatto che il governo stia ponendo gli investimenti in infrastrutture verdi al centro della sua strategia di recupero dalla crisi.
In Canada, il pacchetto varato per il Coronavirus ha favorito le aziende, comprese quelle attive nel gas e nel petrolio. Se da un lato i fondi a disposizione prevedono un requisito legato all'impatto sul clima, non è chiaro come questo verrà applicato. Nel lungo periodo, è probabile che la pandemia non modificherà in maniera sostanziale l'agenda verde del Canada.

La politica rimane una barriera enorme per l'approccio al clima
Questo è particolarmente ovvio negli USA, dove l'elettorato di destra è meno incline a considerare il cambiamento climatico come una priorità (o addirittura un problema). Al contempo, per l'elettorato di sinistra, l'ambiente è un tema centrale dell'ideologia politica.
Prima della pandemia, la politica ambientale non era un tema centrale per l'amministrazione Repubblicana e il supporto fiscale offerto finora non integra una chiara componente ambientale. Pertanto le elezioni USA di novembre, piuttosto che la pandemia stessa, rappresentano il fattore trainante chiave della politica ambientale. Se vincerà il candidato Democratico Joe Biden, le prospettive per l'agenda verde saranno molto più positive.
In Giappone, in linea generale, il cambiamento climatico non è una preoccupazione chiave per l'elettorato, come dimostrano le politiche ambientali poco ambiziose del Partito Liberal Democratico al governo e i continui finanziamenti al carbone. Del pacchetto di stimolo economico di 2.200 miliardi di dollari, il Giappone ha stanziato solo 74 milioni per impianti alimentati a rinnovabili per le imprese che riportano la produzione in Giappone e per i sistemi di ventilazione pubblica eco-sostenibili.

In Brasile la crisi sembra aver offerto una sorta di copertura politica per il governo, stimolando la deforestazione e allentando la normativa ambientale. Il ministro dell'ambiente ha esplicitamente dichiarato che potrebbe verificarsi un'ulteriore deregolamentazione della politica ambientale "mentre la comunità è distratta dalla pandemia di coronavirus".
Messaggi eterogenei dai principali mercati asiatici
Per i due principali mercati dell'Asia, le prospettive della politica green sono più eterogenee. La Cina si è impegnata a incrementare nettamente la quota di veicoli elettrici nelle sue flotte di trasporti e punta all'obiettivo di zero emissioni nette entro il 2060. In realtà, la decarbonizzazione del settore energetico sta procedendo in maniera molto lenta e i nuovi investimenti nelle centrali elettriche a carbone continuano ad aumentare.

Al contempo il pacchetto di stimolo dell'India è deludente sul fronte climatico, perché contiene incentivi per i settori del carbone e del petrolio, oltre a consentire la deforestazione per finalità industriali. Anche se in alcune comunità rurali potrebbero essere creati dei posti di lavoro "green", c'è il rischio di un conflitto sui terreni tra la comunità e i dipartimenti forestali.
Le conseguenze per gli investitori
Gli investitori devono comprendere le tendenze a livello di singoli Paesi, perché le aziende in cui investono non operano in un mondo a sé stante, ma sono soggette ai contesti normativi e legali in cui sono inserite. Per questo, comprendere quali regioni sono più attive sul fronte del cambiamento climatico e quali invece sono rimaste indietro può aiutare gli investitori a valutare i rischi e le opportunità potenziali nei loro portafogli.

Stephanie Kelly, Political Economist, Aberdeen Standard Investments Research Institute



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