La dura realtà dei tassi
Alexis Bienvenu (La Financière de l'Echiquier): l'espansione di bilancio è preferibile alla fuga verso l'austerity. L'esperienza degli anni '30 dimostra che una grave deflazione non porta benefici in più rispetto all'inflazione
La scorsa settimana è stata caratterizzata da un picco nel rendimento del decennale USA, in crescita quasi costante dall'estate in cui aveva raggiunto il livello senza precedenti dello 0,50%.
L'accelerazione è iniziata il 6 gennaio, in concomitanza con l'annuncio dei risultati delle elezioni per il Senato in Georgia, vinte dai Democratici.
Da allora, il 12 gennaio, il titolo è andato a 1,18, un livello che non era più stato toccato dalla crisi di marzo.
Questo aumento, benché non inedito, non lascia indifferenti.
Significa forse, contrariamente a quanto è avvenuto in passato, che il minimo è ormai stato raggiunto e che da ora in poi il rendimento potrà solo aumentare?
Non sarebbero da poco le conseguenze finanziarie se questa ipotesi si rivelasse fondata.
Metterebbe fine a quarant'anni di riduzione dei tassi, associata a una diminuzione dell'inflazione, con quanto ne consegue: la possibilità per gli Stati con un rating elevati di continuare a indebitarsi senza, tuttavia, andare incontro a un aumento eccessivo dell'onere del debito. Se queste condizioni favorevoli venissero a mancare, si contrarrebbe la capacità di indebitamento di tutti i player, Stati compresi, che non sarebbero più in grado di far crescere l'indebitamento in un momento in cui le imprese e le famiglie ne avrebbero maggiormente bisogno. La trappola del debito si richiuderebbe.
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