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03/03/2021

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Se i giganti del web diventano più potenti delle nazioni - Punto e a capo - Gigi Beltrame

La questione delle news in Australia pone interrogativi seri sul futuro

Non è perché svolgo il lavoro di giornalista che mi appassiono a determinati argomenti, ma perché credo fermamente che ci siano degli aspetti sulla libertà della rete che vanno presi in considerazione.
A partire da quanto sta avvenendo in Australia, ossia che il governo obbliga le piattaforme internet, a partire da Google e Facebook, a pagare editori e giornali per i contenuti giornalistici che diffondono sui loro sistemi.
Ci sarebbe da discutere sulla questione se sia giusto oppure no, ma non sarebbe il focus di questo articolo.
Le risposte dei due giganti non si sono fatte attendere.
Facebook a partire dal 18 gennaio ha fatto in modo che gli utenti in Australia non potessero più vedere nessun tipo di contenuto giornalistico.
Google ha bloccato la diffusione delle notizie, salvo poi accordarsi con i maggiori gruppi editoriali.
Ora Facebook ha dichiarato di aver trovato un accordo e di riportare alla normalità la fruizione degli articoli sulla piattaforma.
Una tempesta in un bicchier d'acqua, per qualcuno, o una prova di forza dei governi e dei giganti del web, nonché una vittoria per il giornalismo di qualità.


E' chiaro che non ci sono vincitori e non ci sono vinti, se non gli sciagurati utenti che non avevano a disposizione le notizie.
Se i giganti del web possono escludere dei contenuti, diventano degli editori a tutti gli effetti (Facebook lo è comunque perché si appropria dei contenuti posti sulla piattaforma) e la vicenda rafforza questa idea.
Vorrei puntare l'attenzione su una questione: è mai possibile che questi giganti possano combattere le nazioni ed esercitare un potere che è "quasi ricattatorio" nei confronti dei governi?
La questione non è banale, perché se così fosse, ma non credo che ancora sia, significherebbe che delle aziende private possono determinare, almeno in alcuni campi, le politiche delle nazioni.
Nulla di male, in fondo le lobby nascono per svolgere questo compito.
Ma il problema è ben più ampio, a mio modesto avviso. Infatti, Google e Facebook hanno dimostrato di avere a disposizione delle tecnologie in grado di bloccare determinati contenuti. Non ne avevo dubbi, in fondo il web in Cina è decisamente "controllato" attraverso questi sistemi.
Quindi, possono decidere di mostrare o bloccare contenuti, ma quando gli stati hanno chiesto di intervenire sulle fake news la risposta è stata sempre vaga, contraddittoria e si è evocata la libertà del web e degli individui.


Quello che non va bene, quindi, è questo modo di usare due pesi e due misure.
E non nascondiamoci dietro a un dito: i giornali guadagnano in pubblicità se i social e il motore di ricerca porta traffico ai siti.
Non è solo un problema economico, è una questione sociale che va monitorata con attenzione, perché ogni limitazione, ogni censura va combattuta.
Applicare la censura significa esercitare un controllo autoritario sulla creazione e sulla diffusione di informazioni, idee e opinioni.
E' qualcosa di antipatico se fatta da un governo, figuriamoci da aziende private.
Non dimentichiamo che ci sono differenti tipi di censure: religiosa, politica e morale.
Pensiamo che qualcuna valga più delle altre? O qualcuna per cui valga di più la pena combattere?
Dal lato dei governi, però, non c'è da stare allegri. In pratica, sta passando il concetto per cui risulta più efficace legiferare delle regole sulla concorrenza piuttosto che intentare una serie di azioni legali. E come se non bastasse, è anche una via molto rapida.
Prendiamo questo caso come un esperimento, ma studiamolo, per il bene di noi utenti, ma anche dei governi e dei giganti del web che credo non vogliano in nessun modo finire sulla graticola per questi motivi.



Oggi si parla di news, domani si potrebbe parlare di dati, di algoritmi, di intelligenze artificiali, di prezzi dei prodotti e via di seguito.
I grandi editori hanno i muscoli per fronteggiare governi e i giganti del web, ma i piccoli?
Nel 2021 non abbiamo ancora capito che la pluralità dell'informazione è un bene prezioso da salvaguardare?
Ammesso che sia informazione, ovviamente.
 

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