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31/03/2021

economia

Real estate: la casa diventa un servizio

Secondo Lorenzo Galbiati (CBRE) la scelta di non acquistare presenta dei vantaggi innegabili: flessibilità, accesso a servizi altrimenti fuori budget, possibilità di abitare in contesti nei quali sarebbe impossibile comprare. E di non immobilizzare capitale

Solo il 52% dei tedeschi possiede una casa. Ce lo siamo sentito dire fino allo sfinimento.
Allo stesso tempo, sappiamo che circa il 73% degli italiani è proprietario di casa. Tutto vero.
Poche volte, però, ci siamo soffermati a chiederci perché in Paesi ricchi come la Germania, l'Austria e la Danimarca le persone preferiscano pagare un affitto anziché un mutuo.
Le radici di queste differenze sono sia storiche che culturali.
Si pensi, per esempio, che nei paesi protestanti c'è una maggiore riluttanza all'indebitamento, che la Seconda Guerra Mondiale ha avuto effetti devastanti sulla maggior parte delle abitazioni in Germania e Austria e che le politiche dei governi delle due Germanie durante la ricostruzione hanno favorito l'affitto invece che la proprietà.
È interessante vedere come queste cause storiche abbiano generato un mercato residenziale molto diverso da quello di paesi amanti del mattone come la Spagna, l'Italia, il Portogallo, l'Ungheria, la Romania, dove la proprietà è molto diffusa.


I mercati con basse percentuali di proprietari permettono una maggiore flessibilità di uso dell'abitazione, che può essere lasciata con una semplice disdetta dell'affitto anziché con una compravendita. Ciò facilita la mobilità delle persone tra città e regioni, rendendo più fluido anche il mercato del lavoro, che beneficia così della facilità di spostamento della popolazione.
La casa, quindi, viene interpretata come un servizio abitativo che può cambiare a seconda delle esigenze degli utenti.
Si cambia casa quando si va a studiare in un ateneo lontano dalla propria città. Si cambia casa al variare della composizione del nucleo familiare. Si cambia casa quando si cambia lavoro e ci si sposta in un'altra regione. Oppure, si cambia casa per stare più vicini a parenti o servizi pubblici di particolare interesse.
Questa continua esigenza di cambiamento ha portato alla nascita di forme alternative di abitare in grado di rispondere alle richieste degli utenti. La richiesta di flessibilità e la centralità della community stanno portando a forme evolute di studentati, Short-Term-Rent per intercettare, tra gli altri, giovani professionisti o studenti fuori sede, Co-Living e Co-Housing, Multifamily con servizi e tagli di alloggi diversificati per ospitare diversi tipi di famiglie, Senior Housing per dare offrire luoghi di condivisione e servizi ad anziani autosufficienti che non vogliono rinunciare all'autonomia.


Sono tutti edifici costituiti da cellule abitative che possono essere camere da letto, monolocali, appartamenti di diversa tipologia a seconda del target user.
I servizi comuni, detti amenities, devono abbondare e variano a seconda del tipo di residenza. Possono essere dedicati alle più disparate funzioni: dall'assistenza medica per il Senior Housing alla palestra, dallo spazio giochi per bambini al cinema comune. Questi servizi, gestiti tramite app, community manager e partnership con vari operatori, permettono esperienze abitative nuove e full optional. E fanno crescere canoni e revenue.
Alla luce di tutto ciò, la scelta di non acquistare casa presenta dei vantaggi innegabili: flessibilità, accesso a servizi altrimenti fuori budget per la maggior parte degli utenti, possibilità di abitare in contesti nei quali sarebbe impossibile comprare casa, oltre ovviamente all'assenza di spese di manutenzione straordinaria.
Ma anche la possibilità di non immobilizzare capitale e poterlo investire diversamente: se guardiamo ai Paesi con un basso livello di proprietà, vediamo che, a fronte di patrimoni privati meno distribuiti e consistenti di quelli italiani, i livelli di benessere e welfare sono superiori.



Tutti questi vantaggi sono molto apprezzati dai millennial e saranno ancora più apprezzati dalle generazioni X e Z, che opteranno sempre di più per queste forme di abitare anche in Italia. Siamo quindi alle porte di una rivoluzione culturale destinata a cambiare il rapporto degli italiani con la casa.
E i developer faranno bene a costruire i prodotti adeguati.
CBRE ha colto questa esigenza del mercato avviando un servizio di consulenza, composto da professionalità trasversali, rivolto ai clienti che intendono investire in questa asset class, per supportarli in tutte le necessità che nascono dall'approccio a questo mercato. È importante, per esempio, individuare la tipologia di servizi e amenities e la definizione del loro il giusto mix, intercettando i trend più innovativi a livello internazionale con l'obiettivo di realizzare strutture in grado di rispondere ai gusti degli abitanti 3.0.
Occorre poi che le amenities incontrino il favore del target user e, al contempo, è necessario prevedere l'impatto che questi servizi avranno sulle spese condominiali e sulla gestione della struttura, con l'obiettivo di minimizzare rischi legati alla gestione futura.



In questo contesto, il project manager assume un ruolo centrale per developer ed investitori che si avvicinano alle forme residenziali innovative.
È la figura che coordina i contributor dell'operazione e che convoglia le diverse expertise nel brief del progetto. Se costruito infatti sulla base di attenti studi del contesto geografico e socio-economico, il brief indirizzerà la progettazione architettonica verso soluzioni innovative e vincenti.
L'abitare del futuro si costruisce oggi.

Lorenzo Galbiati, Associate Director Residential Project Management CBRE


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