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Maggio2013

editoriale

Ripartire dalle imprese per far crescere il PIL

La priorità è far crescere l’economia reale, ma lo stato deve finanziarsi a caro prezzo sul mercato per adempiere ai vari fondi e meccanismi europei

Il neonato governo italiano si trova alle prese con una serie di problemi di non facile soluzione. Un livello di tassazione record che mette in ginocchio le famiglie e le imprese, che si dibattono tra scarsità di commesse, mancati pagamenti ed esiguità di credito. Questo si traduce in minori consumi, minori introiti fiscali e maggior spesa per ammortizzatori sociali per lo stato. Alla scarsità di liquidità ha ben contribuito proprio lo stato, che non saldando i propri debiti per un centinaio di miliardi (su cui ha però incassato l’IVA), ha di fatto sequestrato una cifra imponente di circolante all’interno del’economia reale. Con le conseguenze sotto gli occhi di tutti.
A fronte di tutto ciò, il debito pubblico cresce, anche perchè dobbiamo finanziare i vari organismi europei, decisamente onerosi, di cui però pochi ne rilevano l’incidenza. E’ passato quasi sotto silenzio il recente versamento di 2,8 miliardi di euro al MES (o Fondo Salvastati), il Meccanismo di Stabilità Europeo al quale l’Italia dovrà contribuire con circa 125 miliardi in cinque anni.

Abbiamo già versato circa 40 miliardi nell’ultimo biennio. Giusto per dare le dimensioni: l’IMU sulla prima casa vale circa 4 miliardi, appena lo 0.5% della spesa pubblica. Il rifinanziamento della cassa integrazione costerebbe “solo” 1,5 miliardi. Ma non è finita qui.
Tra il 2011 e il 2012 abbiamo versato, sempre pro quota, altri 32 miliardi di euro all’ESFS. Soldi per salvare qualcun altro (i soliti noti) che abbiamo dovuto prendere a prestito sul mercato pagandoli a un tasso superiore a quelli di altri Paesi. Già perchè questo approvvigionamento ci costa parecchio. Prendiamo ad esempio i dati di sintesi del conto del settore statale del mese di febbraio 2013: entrate 31.896 milioni, spese 44.418 milioni, spese per interessi 9.922 milioni. Al netto degli interessi, il disavanzo sarebbe ben poca cosa, considerando la congiuntura. Ecco quindi che l’incidenza degli interessi conta, e parecchio.
E infatti, nonostante le misure draconiane di austerity del governo Monti, la spesa pubblica è salita. A stento siamo rientrati nei parametri europei annuali del rapporto deficit/PIL (3,9%) per il 2012 (127%), ma quello assoluto prevede una sicura crescita.

Il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che quest\'anno salirà al 130,6% e il prossimo si porterà al 130,8%. Inoltre, la necessità di finanziamenti ammonterà al 27,8% del Pil nel 2013 (a fronte del 25,3% di debito che arriverà a maturazione), salendo al 28,2% nel 2014 (a fronte del 25,8% di debito in maturazione) e al 28,3% l\'anno successivo (26,2% il debito in maturazione). E nella stima dell’FMI non si tiene conto dell\'effetto dei pagamenti dei debiti alle imprese, che andranno in futuro conteggiati.
Interessi passivi e partecipazione ai vari fondi salva-qualcosa europei stanno mettendo in serio rischio i conti pubblici. Se a questo aggiungiamo l’aver inserito nella Costituzione il pareggio di bilancio e il Fiscal Compact (40 miliardi all’anno di abbattimento del debito pubbico!), è chiaro che in momento di recessione, aumento della disoccupazione e decremento del PIL, tuttociò appare quasi surreale. Ci indebitiamo sempre di più per “salvare” qualcun altro nel nome dell’euro, che ormai assomiglia sempre di più a un dio pagano cui fare sacrifici umani.
Eppure ogni giorno sentiamo parlare che “bisogna abbassare le tasse”, quasi sempre seguito da un “occorre fare politiche per l’occupazione”, oppure un “imperativo dare ossigeno alle imprese”.


Concetti sacrosanti. Ma il problema è sempre lo stesso: dove reperire i fondi? Certo, tagliare la spesa pubblica, o almeno razionalizzarla (come sostengono in molti) è una strada percorribile, ma non è che tagliando le spese dello stato che si alzerebbe automaticamente il PIL. Però probabilmente si libererebbero risorse per l’economia privata. Esiste una spesa pubblica improduttiva che va aggredita. Non parliamo di scuola o welfare, ovviamente. Su questo ci ritorneremo.
La priorità è far crescere l’economia reale, quelle delle imprese, quel tessuto di PMI che lentamente viene fatto morire, strangolato da eccessiva tassazione, burocrazia, costi, difficoltà di competitività e un mercato interno in contrazione. Intervenire su questi fattori è la vera priorità. Solo così il Pil potrà invertire la tendenza.
Ma certamente non seguendo il metodo tedesco, che ha creato sette milioni di lavoratori coi “mini-jobs”, pagati meno di 400 euro al mese (senza contributi sociali), e un altro milione di soggetti impegnati in corsi di formazione o “lavori da un euro”, che Berlino conteggia come pienamente occupati.


E con questi sistemi, oltre ad aver creato livelli di diseguaglianza record nella distribuzione della ricchezza interna nell’area euro, la grande Germania ha circa 11 milioni di soggetti disoccupati o malpagati. Un modello decisamente da non imitare. Le nostre aziende chiedono ben altro.


Claudio Gandolfo


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