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_Novembre2012

economia

Il contesto di financial repression impone di rivedere i paradigmi di investimento tradizionali

Naumer (AllianzGI): Sono interessanti gli investimenti in materie prime e in società che producono utili sostenibili anche in un contesto di bassa crescita e inflazione elevata

La maggior parte dei paesi industrializzati si trova oggi di fronte a un comune problema: mentre la crescita rallenta, il debito pubblico aumenta a dismisura. La risposta dei governi si traduce in forme di financial repression i cui costi ricadono sui risparmiatori. E’ quindi necessario ridefinire il termine “sicurezza”, mettendo in discussione i paradigmi tradizionali degli investimenti.
Negli Stati Uniti il debito pubblico è salito al 104% del Prodotto interno lordo a luglio 2012 e, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, potrebbe salire al 112,5% entro il 2015. Nell’Area Euro il debito ammontava al 90% del Pil al luglio 2012 e, conferma il FMI, il trend di costante aumento difficilmente muterà prima del 2015.
Com’è possibile ridurre questa montagna di debiti? La risposta a questa domanda potrebbe spiegare in parte lo stranissimo paradosso che stiamo registrando: mentre il debito è salito e i rating si sono deteriorati, il rendimento dei titoli del Tesoro americano, dei Bund tedeschi e dei titoli di Stato britannici (Gilt) e francesi (Oat) è sceso su minimi record.

All’inizio di luglio 2012, il rendimento dei Bund a 10 anni era dell’1,52%, quello dei titoli di Stato francesi di 100 punti base superiore. Ciò non basta a produrre rendimenti sicuri per la gestione di attività e passività, né a proteggere il potere di acquisto. La risposta a questo paradosso è lo scenario di financial repression che stiamo sperimentando: un modo silenzioso per ridurre il debito pubblico, più semplice di un haircut del debito. E’ più facile avvalersi di tale scenario che tagliare la spesa o aumentare l’imposizione fiscale. Tuttavia, saranno i risparmiatori a pagare il conto.
Le misure di financial repression come metodo per ridurre il debito pubblico non sono un’idea nuova, come dimostra la storia recente degli Stati Uniti. A metà degli anni ‘40 il debito pubblico negli Stati Uniti salì infatti al 122% del Pil, a causa della Grande Depressione e della Seconda Guerra Mondiale. A metà degli anni ’70 era sceso intorno al 30%. Cosa è accaduto? Per decenni, i rendimenti obbligazionari negli Stati Uniti sono stati su livelli inferiori al tasso di crescita del Pil. Ed è qui che entra in gioco la financial repression.

La crescita di un paese supera il debito se la crescita del Pil reale supera il debito (reale).
Non serve un tasso di inflazione eccessivamente alto. Bastano rendimenti obbligazionari artificialmente bassi per ridurre il rapporto tra debito e Pil. Infatti, i rendimenti reali negli Stati Uniti sono rimasti su livelli inferiori all’1% per due terzi del tempo intercorso tra il 1945 e il 1980. E gli Stati Uniti non sono l’unico paese in cui i rendimenti reali sono rimasti bassi per lungo tempo. Reinhart e Sbrancia hanno dimostrato che questo fenomeno è accaduto anche in Australia e nel Regno Unito. Anche in questi paesi il debito pubblico è sceso molto durante questa fase.


L’attuale scenario di financial repression

I presupposti fondamentali per la financial repression ci sono già. Per esempio, il rendimento rettificato per l’inflazione è inferiore al tasso di crescita sia negli Stati Uniti sia in Germania. Questo scenario dipende dall’approccio delle banche centrali, che hanno continuato a ridurre i tassi di interesse, acquistando obbligazioni o immettendo liquidità sul mercato nell\'ambito dei piani di allentamento quantitativo.



In questo momento la Fed detiene il 10% di tutti i titoli del Tesoro americano in circolazione, pertanto è il principale creditore del governo degli Stati Uniti. A seguito dell’acquisto diretto di obbligazioni, la Banca Centrale Europea detiene quasi il 3% delle obbligazioni in circolazione dei governi dell\'Area Euro (a luglio 2012). Le due operazioni di rifinanziamento a lungo termine (LTRO) descritte, hanno immesso liquidità per mille miliardi di euro. Metà di questa somma è stata utilizzata per ristrutturare il debito in scadenza, quindi l’immissione netta di liquidità è stata di 515 miliardi di euro, ovvero quasi il 7% del debito pubblico totale dell’Eurozona. 400 miliardi di euro sono stati usati per rifinanziare il debito bancario in scadenza e 115 miliardi per i carry trade. In particolare, i fondi della Banca Centrale sono serviti ad acquistare titoli di Stato italiani e spagnoli. E l’operazione ha avuto successo. Nel Rapporto sulla Stabilità Finanziaria Globale, il FMI ha spiegato che le curve dei rendimenti sono scese su tutte le scadenze.
I bassi tassi di interesse delle banche centrali e l’acquisto diretto di titoli di Stato da parte delle autorità monetarie sono gli effetti collaterali “tradizionali” dello scenario di financial repression.


Generalmente il contesto normativo è favorevole alle obbligazioni (come ci ricordano la direttiva Solvency II e Basilea III), e gli istituti finanziari vengono ingegnosamente incoraggiati ad acquistare titoli obbligazionari, per esempio attraverso il piano LTRO della Banca Centrale Europea.


La ricerca di nuovi porti sicuri 

In questo contesto, mentre gli investitori vanno alla ricerca di “porti sicuri”, il numero di quest’ultimi continua a diminuire. In effetti sono ormai così rari che gli investitori si accontentano di rendimenti molto bassi o persino negativi sulle obbligazioni considerate appunto sicure, poiché sembra vicina la fine dei rating AAA attribuiti alle obbligazioni. Occorre dare una nuova definizione del termine sicurezza, in uno scenario che mette in discussione i paradigmi di investimento tradizionali. Gli investitori non associano più la sicurezza all’assenza di oscillazioni di prezzo, bensì alla tutela del potere di acquisto. Questo obiettivo minimo comunque non è facile da raggiungere, soprattutto quando i budget di rischio sono bassi.
Hans-Jörg Naumer, Responsabile Globale Capital Markets & Thematic Research di Allianz Global Investors afferma: “Oltre ai motori tradizionali di rendimento, gli investimenti in materie prime (tra cui oro e argento) e le società che producono utili sostenibili anche in un contesto di bassa crescita e inflazione elevata, risultano interessanti in una fase di financial repression.


I titoli a bassa capitalizzazione e le società che distribuiscono dividendi elevati dovrebbero rappresentare la scelta prioritaria per gli investitori. A fronte dei rapporti tra prezzo e utile non elevati e dei rendimenti obbligazionari reali bassi (o persino negativi), i dividendi saranno probabilmente la fonte principale di rendimento del mercato azionario. Prendiamo poi in considerazione le obbligazioni asiatiche. Le economie asiatiche vantano deficit fiscali e aliquote d’imposta moderati, nonché un saldo delle partite correnti positivo e riserve valutarie elevate. Anche le valute, soprattutto quelle asiatiche, potrebbero rappresentare una nuova categoria di investimento interessante. In generale, le valute asiatiche sembrano sottovalutate mentre le economie di questi paesi migliorano. Le categorie di investimento alternative, come per esempio le infrastrutture, sono meno esposte al beta di mercato e possono produrre un flusso di cassa stabile, e anche una strategia basata sulla volatilità può contribuire al risultato del portafoglio. In ultima analisi - conclude Hans-Jörg Naumer - la caccia al rendimento reale dovrà basarsi su una combinazione di diverse categorie di investimento.


Dobbiamo ridare sicurezza ai nostri portafogli, oltre a dare una nuova definizione di questo termine”.


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