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13/02/2019

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Salamon (Doxa e Connexia): nelle mie aziende sono i valori a fare la differenza

Essere veri, sé stessi, senza finzioni. Sono i clienti che ci valutano esclusivamente per la qualità del nostro lavoro e noi imprenditori abbiamo una responsabilità verso l'azienda e verso le persone che vi lavorano

Dalla figura-funzione degli imprenditori, ai valori che devono permeare ogni strategia aziendale, ma anche le scelte di vita privata, dal rapporto con i collaboratori fino all'iscrizione alla facoltà di teologia. Sono solo alcuni dei temi affrontati con Marina Salamon, Presidente e Shareholder Doxa e Connexia.

Come vede l'imprenditoria italiana in questo momento?

Sarei scorretta se fornissi una definizione univoca dell'imprenditoria italiana.
Penso, infatti, che la categoria contempli al suo interno una grande pluralità di soggetti: imprenditori con tante energie positive e tanto desiderio di fare bene, accanto ad alcuni soggetti che ancora mantengono forte la volontà di conservare modalità di operare ormai superate.
Quando ho cominciato a fare l'imprenditore, da giovanissima, mi sono scoperta ad agire e confrontarmi con un ambiente professionale in cui non tutti necessariamente erano capaci o santi. Oggi sono consapevole di come si trattasse, allora, e di come si tratti adesso, di imparare a rapportarsi semplicemente con degli esseri umani. Con pregi e difetti.


Onestamente credo che gli imprenditori in Italia abbiamo fatto tanto e abbiamo contribuito a creare tanto benessere. Non a caso, il tasso di disoccupazione nelle regioni del Nord Italia è molto basso e vicino ai livelli della Germania. L'Italia, però, non è tutta uguale, né lo sono le diverse tipologie di imprenditori che vi operano, e neanche le prospettive di sviluppo. Ritengo che la vera sfida riguardi i valori che, in un contesto di internazionalizzazione sempre maggiore, hanno ancora un peso.

Per lei i valori sono fondamentali.

Per me i valori hanno sempre contato e contano moltissimo. Nelle mie imprese gli Amministratori Delegati, come anche i manager apicali, diventano soci. È quindi essenziale che ci sia stima reciproca ed effettiva condivisione di valori per poter camminare "bene" insieme.
Non credo in un mondo organizzato in compartimenti stagni, in cui da un lato si fanno i soldi e dall'altro si fa del bene. Nella vita reale tutto si mescola insieme. Io vedo sempre me stessa nel ruolo dell'azionista che deve fare un percorso condiviso con altri e rispetto al quale i valori rappresentano un elemento fondante.


Credo che tutti noi imprenditori, insieme ai "nostri" quadri dirigenti, abbiamo una responsabilità verso l'azienda e verso le persone che vi lavorano. La stessa responsabilità che abbiamo verso i nostri figli. Non perché i lavoratori siano figli, ma perché chi guida ha il dovere di testimoniare i valori, anche se e quando non è affatto facile.

Il business è spesso guidato dal mercato. Come già accaduto per le grandi aziende tecnologiche, che hanno saputo sfruttare spazi non presidiati per trarne vantaggio, in generale le imprese prosperano quando sanno rispondere a bisogni esistenti o crearne di nuovi. Ma chi può dire se ciò sia giusto o sbagliato?

Se le mie aziende avessero operato nelle costruzioni o nel mondo degli appalti pubblici, forse non so se avrei potuto dire di essere assolutamente pulita e trasparente davanti al mercato come lo sono oggi attraverso le mie aziende, né di fronte ai nostri clienti - che ci valutano esclusivamente per la qualità del nostro lavoro - perché le regole del mercato dipendono spesso da fattori esterni, soprattutto in determinati ambiti.
Certe grandi realtà multinazionali - penso a Facebook, Google, Amazon - hanno potuto contare sulla disponibilità di capitali molto ingenti per crescere ma, al tempo stesso, a parità di competenze, non credo avrebbero potuto nascere e prosperare in egual misura anche in Italia.


Lo stesso dicasi per i fondi di investimento e la Borsa che, negli USA, le hanno sostenute: il clima e lo spirito con il quale si fa business fuori dal nostro Paese è differente.
In Italia gli imprenditori sono troppo gelosi, con la pessima abitudine di portare avanti a ogni costo i propri figli e parenti, anche al di là del merito. Io opero in modo diverso: rappresento una figura esterna, non possiedo nemmeno un ufficio nelle mie aziende. Di solito arrivo solo in compagnia della mia borsa, mi affido molto ai manager e ai collaboratori e mi limito a gestire, lasciando lavorare le persone che ho scelto.

Com'è stata la sua avventura agli inizi, oggi che si parla tanto di startup?

Tutto è accaduto in ragione di una serie di "incontri umani".
Ho cominciato facendo vestiti, ma l'ho fatto sempre cercando di essere molto attenta al mercato, oltre che molto rispettosa dello stesso. So "annusare" e conosco bene cosa implica sviluppare un progetto legato ai bisogni del mercato e a un posizionamento preciso. Sono partita così molti anni fa, quando non avevo ancora nemmeno finito l'Università.



Sono poi entrata nella compagine azionaria di alcune aziende lungo la mia storia professionale, sempre grazie a "incontri umani". È stato così per Replay, quando avevo 26 anni, e lo stesso è accaduto, in tempi più recenti, con Save The Duck. Nel corso della mia storia imprenditoriale ho incontrato persone per bene e ho camminato al loro fianco. Sono anche uscita da qualche esperienza di business perché non ne condividevo più i valori, come nel caso di Replay: quando ho visto che chi guidava l'azienda voleva acquistare un aereo privato ho capito che era arrivato il momento di uscire di scena. Ho serenamente dichiarato che non ero d'accordo, allora come ora, su questo tipo di scelte: io vado in treno in seconda classe, prendo i mezzi pubblici e non concepisco gli aerei privati. Il mio socio di allora acquistava aerei privati ed era contrario alla quotazione in Borsa. Mi sono accorta che il progetto che avevamo era diverso e l'ho detto, con molta onestà.
Una situazione per certi versi simile ha riguardato la mia cerchia famigliare. Mio padre ha passato la vita in Doxa, aveva una quota di minoranza delle azioni e io avevo paura che lo licenziassero.


Sono una figlia femmina che stima suo padre e che a un certo punto ha deciso di indebitarsi: mio padre non era tipo da scalare la maggioranza; lui aveva e, grazie a Dio, ha ancora la testa da professore universitario, amante della ricerca. Per cui ho preso coraggio e mi sono buttata in prima persona nella trattativa. Non c'era un disegno preordinato, non ero nemmeno preparata. Ho dovuto studiare, ma studiare è una cosa che ho sempre amato tanto. Il mio spirito di ricercatrice mi ha sempre sostenuta. Mi sono sempre detta: "Se non conosci un settore, testa bassa e studia con umiltà, qualcosa capirai". E questo è ciò che è accaduto.

Preparazione, formazione e talenti. Le sue aziende sono ricche di persone talentuose. Qual è il segreto?

Si può costruire la comunicazione in modo totalmente artificiale e artefatto, ma poi le persone ti scoprono subito. Tempo fa, il controllore di un treno si è stupito del fatto che viaggiassi in seconda classe: era curioso, voleva capire se fossi "realmente" così come mi presentavo pubblicamente. Coerente con i valori che porto avanti da sempre.
Credo che il tema vero sia rispettare le persone, offrire prospettive di crescita vera dall'interno, non importare o imporre mega-manager bluff, che vengono subito "smascherati".


Questo è esattamente quello che fa male, in generale, alla Pubblica Amministrazione, in cui trovi persone che non vengono stimate dai collaboratori, piazzate in certi ruoli dirigenziali per ragioni politiche. Nelle mie aziende tutto questo non esiste, non funziona così. La gente si parla, si confronta, la reputazione si costruisce ogni giorno, ed è fatta di tante componenti.
Per esempio, Connexia sta volando meravigliosamente perché probabilmente c'è un tema di environment, qualità umana, qualità professionale e clima ambientale. Paolo D'Ammassa e Massimiliano Trisolino sono i due soci che stanno facendo un gran lavoro, e io posso solo mettermi al servizio del progetto. Questa è la mia mentalità: io sono una che di notte sta sveglia a rispondere alle mail arretrate e, allo stesso tempo, a studiare, ed è bellissimo. Mi sono anche riscritta all'Università, facoltà di Teologia, insieme a mio marito, e studiamo psicologia, tanta filosofia, pedagogia. Mi sono accorta che questi temi mi servono molto anche nella gestione dei rapporti che si sviluppano intorno a me, ben al di là della finanza o del marketing.
Per me apprendimento è anche sapermi muovere all'interno delle città, vedere il posizionamento di alcuni marchi in un negozio e cercare di capirne i motivi.


In fondo, intimamente sono rimasta quella bambina che papà portava nei supermercati il sabato pomeriggio per studiare i prodotti sui quali conduceva ricerche di mercato. Mi chiedeva di guardare un packaging e dirgli, per esempio, che cosa mi comunicasse una certa scatola di biscotti. Di allora mi è rimasta l'attitudine a guardarmi intorno con curiosità.
Faccio un esempio. Nel segmento abbigliamento per bambini produco per Gucci e Moschino, ma il mio obiettivo non è avere fantasia, piuttosto essere capace di comprendere i percorsi eccellenti che ciascuna di queste due aziende sta facendo con al suo interno creativi spettacolari.
Si tratta di aziende dalle quali posso solo imparare, costruendo con loro un rapporto e cercando di trasferire il mio punto di vista sulla realtà. Sono aziende molto creative. Il punto vero è apprendere, attingere, assimilare da loro, non cercare di sostituirsi a loro. Questo tipo di approccio si rispecchia, ad esempio, nei nostri uffici, sia in Doxa sia in Connexia. Li abbiamo pensati e realizzati personalmente e con le nostre mani. Non ci sono stati architetti cui delegare. C'era un tema di armonia di colori e scelte cromatiche, certo, ma soprattutto non si voleva copiare nulla che fosse di moda, temporaneo.


Io odio gli uffici tutti bianco e acciaio, tutti uguali tra loro. Volevo trasferire un po' di umanità. Per esempio, a casa amo scrivere sul legno, per cui le scrivanie sono tutte in legno, belle, calde, ma realizzate a prezzi ragionevoli, con legni provenienti da foreste rinnovabili. È anche questo un discorso di coerenza con i valori: non per nulla sono stata per tanti anni consigliera del WWF.
Sono rimasta quella bambina che crede nella giustizia, nei valori, nelle idee e nelle persone.


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