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29/06/2022

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PMI: più sono grandi e più spingono sulla trasformazione digitale

Circa 250mila PMI sono in grado di produrre intorno al 40% del fatturato nazionale e occupano oltre il 30% della forza lavoro nei settori chiave del Made in Italy. Ma per quelle più piccole l'investimento in digitale è ancora considerato un costo

E' una questione di dimensioni ma anche di cultura e vision. In Italia il digitale è già un punto di forza per le PMI "Large" (cioè con fatturato sopra i 50 milioni di euro o numero dipendenti superiore a 250), ma non ancora per quelle "tipiche": il 71% delle prime mostra, infatti, un profilo "convinto" o "avanzato", rispetto al 50% delle PMI in senso stretto. Il digitale è considerato come un costo solo dal 2% delle Large (rispetto al 16% delle PMI), mentre per il 61% è invece lo strumento cardine per costruire il futuro dell'azienda (rispetto al 35% delle PMI). In entrambe le categorie, però, risulta ancora carente l'attività di formazione svolta per i dipendenti e per il management.
Questi alcuni dei dati presentati dall'Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI della School of Management del Politecnico di Milano.
"Circa 250mila PMI sono in grado di produrre intorno al 40% del fatturato nazionale e di assorbire oltre il 30% della forza lavoro: numeri che fanno comprendere non solo l'importanza del ruolo giocato dalle PMI in Italia ma anche l'attenzione che il Paese deve loro dedicare per salvaguardare questo patrimonio economico e sociale", dichiara Claudio Rorato, direttore dell'Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI (nella foto).

"Prima di parlare dei singoli, però, dobbiamo parlare di responsabilità del sistema: troppo spesso sentiamo parlare di arretratezza delle imprese, di scarsa cultura digitale degli imprenditori, di visioni poco evolute.
L'imprenditore, per la sua stessa estrazione, prevalentemente tecnica, si concentra più sul prodotto che sulla gestione e la programmazione, più sulla quotidianità che sulla pianificazione e la gestione del cambiamento. Ecco, allora, che le associazioni di categoria, le filiere, le supply chain, gli istituti finanziari, la classe politica, la pubblica amministrazione, gli hub territoriali per lo sviluppo digitale devono fare la loro parte per creare le condizioni che permettano di fare impresa. Solo a quel punto, le responsabilità individuali di fare o non fare potranno essere attribuite alle singole organizzazioni
".

Le filiere a confronto


Il mondo delle PMI è estremamente variegato e provare a illustrarlo nella sua interezza può portare a conclusioni non sempre generalizzabili: sono state quindi individuate, in partnership con InfoCamere, tre filiere - agroalimentare, arredo e moda - che coniugano l'importanza del Made in Italy con la necessità di mettere in evidenza la varietà di alcune caratteristiche (come dimensioni e numerosità).


Il settore agro-alimentare è decisamente il più numeroso, con 54mila imprese attive (3,9% della numerica di comparto). Le PMI rappresentano il 49% del fatturato complessivo di filiera (pari a circa 192 miliardi di euro) con una media di 3,5 milioni di euro per ogni realtà, ed evidenzia una forte vocazione verso la micro-dimensione con una media di circa 18 addetti per impresa.
L'arredamento vede 8mila PMI attive (5,7% del comparto) ed esprime la dimensione più elevata sia a livello di fatturato, rappresentando la metà degli oltre 37 miliardi dell'intera filiera (con una media di 4,3 milioni di euro per ogni realtà) che in termini di addetti medi per impresa (23).
La moda, invece, presenta 19mila imprese attive con un fatturato medio di 3,9 milioni (54% degli oltre 73 miliardi del comparto) e circa 22 addetti per impresa.

PMI e PMI Large: maturità digitale a confronto


Quando si parla di PMI si fa riferimento a imprese con un numero di addetti compreso tra 10 e 249, che generano un fatturato inferiore ai 50 milioni di euro o con un attivo inferiore ai 43 milioni di euro.

Questa definizione (utilizzata dal Ministero dello Sviluppo Economico o dalla Commissione Europea) da un lato, permette di identificare in modo univoco un sottoinsieme oggettivo di imprese all'interno del panorama economico, dall'altro, però, esclude dal novero quelle imprese che nei comportamenti sono assimilabili alle PMI ma, nella forma, non lo sono.
L'individuazione di questo ultimo segmento, ovvero le PMI Large, ha sia l'obiettivo di esaminare un gruppo di mercato, strategico, ma ancora troppo poco approfondito, e sia di comprendere lo stato di digitalizzazione del gradino dimensionale successivo a quello delle medie imprese, al quale queste ultime potrebbero guardare in chiave evolutiva.
Dalle analisi risulta che il digitale sia un punto di forza delle PMI Large: il 71% mostra, infatti, un profilo convinto o avanzato, rispetto al 50% delle PMI. Si tratta di imprese che stanno cercando di riorganizzare i processi con l'ausilio del digitale e che dispongono internamente di competenze per l'innovazione. Solo il 29% delle PMI Large, invece, può essere ascritto alle categorie degli "analogici" e dei "timidi" (rispetto al 50% delle PMI); si tratta di imprese ancora restie ad abbracciare la transizione digitale, mancando soprattutto di un approccio olistico e di una visione strategica di lungo termine.



Vi è una forte percezione dei vantaggi derivanti dal digitale: solamente il 2% delle Ibride lo considera come un costo (rispetto al 16% delle PMI) mentre il 61% lo considera lo strumento per costruire il futuro dell'azienda (rispetto al 35% delle PMI). Il digitale costituisce un aspetto culturale di queste aziende, nelle quali esiste una maggiore consapevolezza digitale. È, però, ancora carente l'attività di formazione svolta per i dipendenti e per il management. Nel segmento delle PMI Large, emerge, nel complesso, una maggiore attenzione per le tecnologie di frontiera, anche se i tassi di adozione non sono così interessanti da poter parlare di un fenomeno diffuso.

La transizione digitale è accompagnata da una transizione green


Il 58 % delle PMI Large, infatti, ha adottato o è interessato ad adottare soluzioni per ottenere una riduzione dell'impatto energetico, il 48%, invece, è interessato a rating ESG, mentre il 61% ha introdotto o si propone di introdurre pratiche di Corporate Social Responsibility.
"L'importanza del ruolo giocato a livello economico e sociale da parte delle PMI merita la massima attenzione da parte del sistema Paese, che deve fare la sua parte: solo in questo modo si può affrontare il problema nella sua interezza e indagare le ragioni profonde dietro all'andamento digitale delle imprese.


Per attivare meccanismi di contaminazione ed emulazione tali da allargare la base digitale è necessario, da un lato, adottare un approccio per filiere che tenga conto anche delle PMI Large, mentre dall'altro gli hub territoriali di innovazione devono collegarsi maggiormente tra loro e con la rete relazionale del territorio" aggiunge Federico Iannella, Ricercatore Senior Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI.



I "trigger dell'innovazione" nell'ecosistema


Troppo spesso le PMI approcciano in modo destrutturato il proprio percorso di innovazione, facendosi guidare più dall'esigenza temporanea di cambiamento o dalle opportunità di finanziamento una tantum offerti dalle diverse istituzioni. Esistono però 4 diverse tipologie di enti nati con la missione di guidare e affiancare le PMI in un percorso solido di trasformazione digitale.
I Digital Innovation Hub (DIH) sono 23 in Italia e svolgono il ruolo di promotori dell'evoluzione digitale, attraverso specifiche attività di sensibilizzazione e formazione sulle nuove tecnologie e sulle opportunità esistenti.



I Punti Impresa Digitale (PID) sono strutture localizzate presso le Camere di commercio. Nati nel 2016, sono oggi 88, punto di riferimento territoriale per attività di formazione e informazione, sia a livello di policy/incentivi/opportunità attivate dal Governo, sia per approfondimenti su specifiche tecnologie e loro applicazioni.
L'Innovation Manager (IM), figura introdotta con la Legge di bilancio del 2019, rappresenta un punto di contatto tra le PMI e gli enti pubblici a supporto dei processi di innovazione digitale, fungendo spesso da tramite per l'erogazione di servizi tra gli Hub di innovazione e le PMI stesse. Oggi sono circa 8mila gli Innovation Manager iscritti alle liste MISE, anche se in realtà non tutti operativi su progetti di innovazione.
I Competence Center (CC) costituiscono l'infrastruttura "hard" della rete, a supporto del trasferimento tecnologico in chiave Industria 4.0. I CC presenti sul territorio italiano, nati tra il 2018 e il 2020, sono 8, ciascuno specializzato su ambiti tecnologici specifici e complementari. Rappresentano l'ultimo ente a cui approdano le imprese nel loro tragitto di innovazione, e si concentrano sulle attività più collegate al lancio e accelerazione di progetti innovativi e di sviluppo, attraverso la sperimentazione pratica delle tecnologie (con live demo e test before invest), la produzione "in vivo" degli strumenti di Industria 4.


0 e la raccolta di best practices per l'implementazione della trasformazione tecnologica.


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