
Gigi Beltrame
La Silicon Valley pensa alla sostituzione di massa
Molti investimenti sull'intelligenza artificiale sono volti proprio a sostituire i lavoratori umani: una tendenza
La Silicon Valley, da sempre fucina di innovazione e motore del progresso tecnologico, sembra essere oggi il teatro principale di una trasformazione epocale che potrebbe ridisegnare radicalmente il mercato del lavoro globale.
Al centro di questa rivoluzione vi è l'Intelligenza Artificiale (AI), non più confinata a progetti di ricerca futuristici, ma sempre più integrata in soluzioni concrete volte ad automatizzare una vasta gamma di mansioni. L'obiettivo, esplicito o implicito, di molte startup e colossi tecnologici nella Bay Area appare sempre più orientato a rimpiazzare milioni di posti di lavoro, spaziando indifferentemente dalle professioni intellettuali a quelle fisiche.

Le proiezioni sull'impatto dell'AI sull'occupazione variano, ma molti studi indicano un potenziale dirompente. Alcune stime suggeriscono che centinaia di milioni di posti di lavoro a livello globale potrebbero essere esposti all'automazione nei prossimi anni. Lo dice anche l'ONU secondo il nuovo rapporto UNCTAD sull'intelligenza artificiale .
Questa tendenza non riguarda unicamente le mansioni ripetitive o a basso contenuto cognitivo, storicamente le prime a essere colpite dall'automazione.
L'AI, in particolare con l'avvento dei modelli generativi, sta dimostrando capacità che mettono a rischio anche lavori considerati in precedenza al riparo, come quelli impiegatizi o in settori che richiedono analisi e decisioni.
Un esempio tangibile di questa avanzata si osserva nel settore dei servizi, incluse mansioni fisiche che sembravano intrinsecamente umane. Diverse ricerche e sviluppi puntano alla possibilità di sostituire lavoratori impiegati nelle pulizie domestiche con robot intelligenti. Questi automi di nuova generazione non sono semplici aspirapolvere robotizzati, ma sistemi dotati di "physical awareness", ovvero la capacità di percepire e interagire in modo sofisticato con l'ambiente fisico circostante.
Questa consapevolezza permette loro di navigare spazi complessi e non strutturati come le abitazioni private, manipolare oggetti e svolgere compiti che richiedono destrezza e adattabilità, competenze finora considerate dominio esclusivo dell'uomo. La Cina sta spingendo molto sotto questo aspetto, perché tra pochi anni un terzo della popolazione sarà ultra sessantenne. Sebbene l'implementazione su larga scala sia ancora in evoluzione, l'interesse e gli investimenti in questo settore evidenziano la concreta possibilità di un'automazione massiva anche in ambiti ad alta intensità di lavoro fisico.
Questo scenario ci deve preoccupare profondamente sul futuro della società e sull'adattamento a un mondo in cui la necessità di manodopera umana potrebbe ridursi drasticamente per centinaia di milioni di persone. Se da un lato l'automazione e l'AI promettono aumenti di produttività ed efficienza, liberando potenzialmente l'uomo da compiti gravosi e ripetitivi, dall'altro pongono sfide immense in termini di disoccupazione tecnologica e aumento delle disuguaglianze economiche.
La storia ci insegna che le rivoluzioni tecnologiche del passato hanno distrutto vecchi lavori ma ne hanno anche creati di nuovi, tuttavia la velocità e la portata dell'attuale trasformazione guidata dall'AI suggeriscono che i tempi di adattamento richiesti alla forza lavoro e alle strutture sociali potrebbero essere senza precedenti.
La grande partita che si sta giocando non riguarda quindi solo l'evoluzione tecnologica, ma la capacità delle nostre società di gestire una transizione che potrebbe ridefinire il concetto stesso di lavoro e il suo ruolo nella vita degli individui. Sarà fondamentale ripensare i sistemi di istruzione e formazione per dotare le persone delle competenze richieste da un mercato in rapida evoluzione, esplorare nuove forme di welfare e reddito, e avviare un dibattito serio e proattivo su come distribuire i benefici dell'automazione e garantire un futuro equo in un'era di abbondanza tecnologica. Ignorare queste sfide significherebbe rischiare tensioni sociali significative in un mondo dove il "non lavoro" potrebbe diventare la condizione di una larga fetta della popolazione.
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