Mentre la Germania sembra non sentire la crisi, l’euro e i Paesi della periferia sembrano non vedere la fine del tunnel. Gli scenari per il 2013 sono molto diversi tra loro, cosi' come le ricette per superare la fase di recessione
Il 2013 vedrà le sfide decisive per la sopravvivenza dell’euro. E l’Italia è davanti a un bivio: o riesce a far crescere il PIL o saranno lacrime e sangue. Ma il Fiscal Compact potrebbe finalmente accelerare la via delle riforme di cui il Paese ha un disperato bisogno. Sul futuro dell’Italia e dell’euro, tra austerity e necessità di crescita, abbiamo parlato con il Prof. Giacomo Vaciago, Professore di Economia Monetaria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano.
La Germania è il Paese che meglio ha saputo sfruttare, o comunque adattarsi, alla sfida dell’euro. Bravi loro o meno bravi gli altri?
Nel manifatturiero, la ricetta vincente è stata quella tedesca: abbandonare certe produzioni e concentrarsi sui loro punti di forza. Questa soluzione non è scesa dal cielo. Dieci anni fa anche la Germania aveva problemi, stava investendo in tutto il mondo e non più in casa. Fu il governo Schroeder a mettere intorno a un tavolo Confindustria e sindacati, e a far partire quella che noi chiameremmo “concertazione” (che al Governo Monti non piacerebbe, ma che nei Paesi seri si fa). La scommessa fu che a certe condizioni - e i sindacati ottennero che i lavoratori lavorassero un’ora gratis a simbolo di questo patto - le imprese tedesche tornassero a investire in Germania, non solo fuori. Anzi, più in casa che fuori. Questo significa che la Germania è diventato un Paese sempre più “export led”, produce anche molto in casa e naturalmente esporta. La quota di export sul PIL tedesco è molto aumentata, il che rende la Germania debole quando il mondo va male, ma fortissima ogni volta che c’è crescita in giro per il mondo.

Noi questo discorso non l’abbiamo saputo fare, io non ho visto un governo, un giornale, che abbia spiegato agli italiani queste cose, e che abbia detto “è necessario un patto per la crescita”. Quest’ultima non viene dal cielo, te la devi meritare, e i primi a meritarsela devono essere le imprese e i loro lavoratori.
Quali sono, a parere Suo, le “ricette” che potremmo veder applicare nel 2013?
La mia previsione è che continueremo faticosamente come adesso, con austerità , deflazione domestica, aggiustando con grande sofferenza e grande bisogno di incontri settimanali a Bruxelles di tutti i governi. Questa vicenda dura ormai da anni ed è l’unione più faticosa che io conosca: è come un matrimonio in cui marito e moglie vanno tutte le settimane dallo psicologo per farsi aiutare a tirare avanti. Chiaramente i costi, anche sociali, che ciò infligge sono elevati. Ci sono tre alternative radicali.
Gli americani ci predicano di svalutare. Di recente Martin Feldstein, da sempre molto critico sull’euro, ha espresso in un articolo che avremmo bisogno di fare la parità col dollaro, con una robusta svalutazione del 30%, e questo farebbe ripartire la zona euro. E’ una alternativa, ma è difficile farlo. Tutti vogliono svalutare quando le cose vanno male. Se fosse possibile svalutare solo l’euro certamente ci aiuterebbe. Attenzione però che l’economia tedesca è ancora vicino al pieno impiego, e in Germania c’è una modestissima recessione, ma non sufficiente ad affermare che ne beneficerebbe da una svalutazione dell’euro. E questa è una ricetta che produrrebbe un’inflazione dell’ordine del 6% nell’eurozona, cosa che farebbe bene a noi, ma susciterebbe violente proteste in Germania. In campagna elettorale i tedeschi non sono certamente disposti ad accettare un’inflazione anomala, solo perché questo aiuterebbe l’Europa a ripartire. Loro sono già ripartiti, o almeno ne sono convinti. Stanno solo al momento rallentando un po’ e per i guai altrui. Vedo quindi difficile questa alternativa.
Una seconda ipotesi è che i Paesi periferici dell’Europa adottino in modo radicale, ben più di quanto finora visto, politiche di tipo thatcheriano o reaganiane. Si tratta di ricette di estremo liberismo, con guadagni enormi di produttività , forte riduzione del settore pubblico, forse un po’ anche del welfare, in modo tale che la popolazione si ”rimbocchi le maniche” e riparta. Queste ricette hanno ovvie controindicazioni: quando Thatcher e Reagan le applicarono nei loro Paesi, UK e USA, l’economia andò in recessione. Non si tratta quindi di soluzioni miracolose, che fanno solo bene. Si soffre anche con le ricette liberiste. Quindi, fare in recessione una politica che, almeno inizialmente, aumenta la recessione stessa, è politicamente difficile.
La terza radicale alternativa è che si chiude tutto. Mario Draghi uscendo mette la chiave sotto lo zerbino della BCE e la finiamo con questo euro che ci impedisce di fare quello che in passato avremmo normalmente fatto. Vent’anni fa l’Italia era in una crisi di debito grave come quella attuale, ma Giuliano Amato fece una mega-manovra di austerity e una bella svalutazione della lira. La recessione non è stata così grave come quella di Monti. Eppure l’austerità aveva bastonato gli italiani mica poco. Il rimedio era la svalutazione. Questa è impossibile finché restiamo nell’area dell’euro e, per definizione, questa ricetta presuppone che i Paesi dell’Europa periferica che hanno problemi (e lo spread in parte misura questo), se ne vadano. Potranno svalutare a piacere le loro monete e, se non altro, questo mix di austerity con svalutazione riduce il costo sociale rispetto alla sola austerità , che stiamo sperimentando in questi anni.
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