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_Marzo2013

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È tempo di manager o di temporary manager?

Carella (Manageritalia): Solo da una forte sinergia tra imprenditori e manager troveremo la spinta per migliorare innovazione, produttività, competitività e organizzazione delle tante e virtuose PMI che ci possono ridare crescita e sviluppo

Negli ultimi tempi negli incontri con politici, imprenditori e cittadini, sento chiedere ai manager di contribuire a portare nel Paese in generale (anche nel modo di fare politica), ma soprattutto nell’economia e nelle aziende, innovazione, confronto con l’estero e quindi produttività e competitività. Giusto e sacrosanto. I manager, del pubblico e del privato, e chi li rappresenta, devono e vogliono farlo. E da parte nostra dobbiamo sicuramente migliorare su tanti fronti.
Ci vuole però anche un ambiente socio-economico che ce lo permetta. O meglio, che lo richieda veramente, con i fatti e non solo con le parole, e lo faciliti. Sul fronte della politica, slegando l’azione di indirizzo che le spetta, da quella di gestione, che spetta ai manager e nella quale non dovrebbe mettere più voce, se non attraverso il controllo. Quindi, scegliendo manager pubblici per competenze e meriti, valutandoli sui risultati e, soprattutto, non preferendo quelli che le sono più o meno fedeli e riconoscenti.
Sul fronte privato è invece indubbia la carenza di manager nell’economia e nelle aziende, ma ancora piuttosto labile è poi la volontà di utilizzarli veramente.

Così si discute di costo - che stereotipando pochi eclatanti casi, si ritiene a torto eccessivo - e di flessibilità, che conoscendo poco le realtà contrattuali, si ritiene scarsa e invece c’è eccome. Un dirigente è sempre licenziabile, se e quando si rompe il rapporto di fiducia con l’imprenditore azionista, con dignitose, ma non esorbitanti, buonuscite. Anche qui gli stereotipi impazzano. Di moda è poi diventato oggi il temporary manager e qui l’anglicismo ci mette del suo.
Ora la figura del temporary manager nasce in UK e nel Nord Europa, dove chi finanzia le aziende (banche, finanziarie, fondi ecc.) vuole business plan seri e competenze capaci di implementarli. Qui nasce la figura del temporary manager, che altri non è che un manager con forte esperienza e competenza nella ristrutturazione di aziende e/o nello sviluppo di particolari mercati, azioni ecc. A questo l’azienda si rivolge per cogliere delle opportunità sul mercato, molto più che per risalire da una situazione negativa e evitare il fallimento, e che ritiene di utilizzare per un certo numero di anni finché non si è raggiuto l’obiettivo. A quel punto, quel manager, che avrà sistemato e/o implementato le cose e fatto crescere una valida squadra, spesso non ha più tanto da dare e può passare ad altre sfide.

E l’azienda può camminare con le sue gambe, meglio con il suo management nuovo o fatto crescere. Prerogativa del temporary manager è pero una piena condivisione di intenti con la proprietà dell’azienda e, soprattutto, deleghe e poteri chiari per affrontare la difficile sfida di cogliere quegli obiettivi.
Senza queste premesse quel manager, anche il più bravo del mondo, non ha speranze di far bene e va sicuramente incontro a impossibilità di operare secondo esperienza e competenza, in un mercato dove oggi il tempo è vitale, oltre che a incomprensioni, litigi (e alla fine rotture), che danneggiano tutti e soprattutto l’impresa, i suoi stakeholder e tutto il territorio di riferimento.
Ora, questa figura magica e salvifica in Italia è contrattualmente presente da decenni (oggi nel nostro contratto dei dirigenti del terziario ha anche, a fini culturali, un articolo ad hoc), ma quello che manca è una vera domanda di manager di questo tipo, con questo ruolo e responsabilità. Non è un caso che in Europa nelle imprese familiari, che sono l’80% circa in tutti i principali Paesi, l’Italia abbia più di tutti il CEO membro della famiglia (84% contro 70% dell’UK e 62% della Francia) e, soprattutto, il management composto solo da familiari (66% in Italia contro 35% in Spagna, 28% in Germania, 26% in Francia e 10% in UK, dati EFIGE 2012).


Allora ben venga il temporary manager, se questo può e deve servire a rompere ataviche diffidenze anche culturali tra le due parti, che devono diventare da lì in poi, partner e non controparti. Ma nell’accezione anglosassone: con deleghe, poteri e libertà di agire reali. E non in quella italica, del consulente messo in naftalina e utile a fare il consigliere, spesso non interpellato e/o ascoltato, dell’imprenditore. Ma soprattutto, ben venga il tempo dei manager. Che entrino nelle tante aziende che ne sono prive per affiancare, anche a tempo, l’imprenditore e i suoi familiari, e instillare in quell’azienda una vera presenza, competenza e capacità di gestione manageriale. Solo da una forte sinergia tra imprenditori e manager troveremo la spinta per migliorare innovazione, produttività, competitività e organizzazione delle tante e virtuose PMI che ci possono ridare crescita e sviluppo.
Nel recente rinnovo contrattuale del contratto commercio (27 settembre 2011), all’art. 11 è stato inserito un apposito articolo per esplicitare ancor meglio come da sempre il contratto preveda la possibilità di assumere un dirigente, che per sua natura è comunque sempre temporaneo perché licenziabile, con contratto a termine.


Questo per andare incontro anche culturalmente alle necessità e/o disinformazioni culturali delle pmi o di chi non conosca questa possibilità.

Guido Carella, Presidente Manageritalia


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